Senza paura

Il termine comune è Bareback, da cui il verbo barebacking; letteralmente significa cavalcare a pelo, senza sella. Nel linguaggio della sessualità post-AIDS invece descrive la pratica del fare sesso, magari casuale, senza preservativo. Un comportamento davvero controverso, esecrato dai più (specialmente quelli appartenenti alla prima generazione dell’AIDS awareness) ma per molte ragioni piuttosto comune, anche se socialmente si tende a dire il contrario.

I primi a dire di farlo senza, sono stati gli stessi che avevano insegnato al mondo a farlo con, e cioè gli omosessuali. Non tutti, ovviamente, anzi: una sparuta minoranza perlopiù giovane, appunto i Barebackers, alcuni dei quali rivendicavano questo comportamento come reazione agli anni ’80 e ’90, l’epoca della grande paura: lo dice il loro slogan, “Fucking without fear”. Ma c’è anche un potente elemento di trasgressione generazionale: lo scambio di fluidi corporei è stato un tabù così forte negli anni passati che una reazione del genere forse era prevedibile. Ne parla perfino Wikipedia, che alla voce Bareback, dopo un’ introduzione lunga e politicamente corretta, racconta del Breeding (eiaculazione interna), del Charging up (come il breeding, ma l’eiaculatore è sieropositivo) e dei Conversion parties, sesso di gruppo dove alcuni dei partecipanti sono sieropositivi. Leggende? In parte di sicuro, ma un po’ di verità c’è, e basta farsi un giro in rete per accertarsene: i Bug chaser (sieronegativi che fanno sesso casuale non protetto anche con persone HIV+) esistono, eccome.

E se per molti l’universo gay è esotico e distante, sul fronte etero la tendenza è esattamente la stessa. Le statistiche parlano chiaro: il consumo di preservativi è in calo, e la coscienza della malattia tra i giovani è scarsuccia. Inoltre il barebacking sta anche prendendo piede tra swinger e scambisti. In alcuni club infatti è diventato obbligatorio esibire l’analisi del sangue all’ingresso (vecchia al massimo di un mese, e che comunque non garantisce affatto), segno che poi, una volta dentro, vale tutto. Paradossalmente questo calo dell’attenzione lo si deve anche ai successi della medicina, che oggi consente una vita normale agli oltre 100.000 sieropositivi che ci sono in Italia. Nessuno si ricorda più le immagini di Rock Hudson quando, nell’85, fu la prima celebritiy a dire pubblicamente di essere malato, mostrando l’AIDS al mondo. Oggi con l’HIV si convive, chi è sieropositivo abitualmente preferisce non farlo sapere, e si può capire. Fattostà che la malattia è diventata invisibile, e quindi la preoccupazione più distante.

Se è vero quello che molti pornografi sostengono, e cioè che il porno avrebbe anche una funzione educativa, allora questa potrebbe essere un’altra causa dello scarso amore per i profilattici. Non solo negli ultimi anni si sono affermati interi sottogeneri che hanno come oggetto lo scambio non protetto di fluidi corporei e la feticizzazione dei medesimi, ma è davvero assai raro incontrare un preservativo in un film porno anche anal (benché l’ufficio statunitense per la sicurezza sul lavoro abbia recentemente dichiarato “ambienti di lavoro a rischio” i set dove si girano porno non protetti). A volte capita, ma sono apparizioni assai sporadiche. Di solito si fa senza, adottando le seguenti strategie di prevenzione: tutti gli attori col test in mano (che serve a ben poco), o si usano solo attori sieropositivi; questa almeno è la politica di una casa di produzione californiana di film gay. Chiuderei con un pensiero alle prostitute italiane, oggi malviste. Si deve solo alla caparbietà di queste santissime donne (che andrebbero premiate, e non sancite) se il contagio tra clienti e professioniste sia stato negli anni davvero molto limitato: la richiesta più frequente dei clienti italiani (nove milioni, secondo il Corriere) è infatti proprio quella di farlo senza.

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