(Nota: Dopo 27 anni e quasi 300 articoli scritti per Rumore, dal mese di Febbraio 2023 [quello che conteneva questo articolo] il formato è passato da 4.000 battute, aka 2 cartelle, a 5.000. Un piccolo passo per il giornale ma un grande salto per me che sono un animale abitudinario. Quindi da questo articolo in poi c’è un po’ più di testo.)
Se si osserva la vicenda della musica dal Rock’n’roll in poi, considerando anche gli stili e le culture relative, c’è un concetto fondamentale che Simon Reynolds ha efficacemente ribattezzato Retromania. Nel suo libro* Reynolds sostiene che il Pop abbia avuto da sempre un’ossessione per il passato, quasi che questa sia insita nel concetto stesso di cultura Pop. Mi permetto di dissentire. Innanzitutto va detta una cosa: nella musica Pop (intendo proprio la musica) il concetto di “inaudito” non esiste: tutto deriva sempre da altro, e perfino gli artisti più innovativi e originali pescano da qualcosa, da qualcuno che li ha ispirati. Questo vale per tutti, nessuno escluso. Il nuovo è la combinazione di creatività contemporanea e elementi pre-esistenti. Quindi se parliamo di musica Reynolds ha perfettamente ragione. Quando diciamo musica però di solito intendiamo una cosa complessa, cioè la cultura Pop, che comprende stile, luoghi d’incontro e svago, balli, capelli, idee – e che ha come collante la musica.
Se la si guarda da questa prospettiva secondo me c’è un prima e un dopo. Per un periodo di circa 25 anni (1954/1977-’80) la vicenda Pop si è dipanata in una sola ostinata direzione, e cioè in avanti. Il passato era utile solo per riconnetterlo al presente, come nel caso dei fan di Bob Dylan che scoprivano Woody Guthrie, o quelli degli Stones i giganti del Blues. Esistono discografie leggendarie che descrivono precisamente questo tragitto in avanti, questa costante evoluzione che conosce bene il passato prossimo (proprio e altrui) e ne elabora temi, contenuti e strutture musicali secondo il gusto di quel momento esatto. Idem col vestiario, i capelli, i consumi leciti e illeciti, le occasioni di aggregazione e, da un certo momento in poi, anche le convinzioni etiche e politiche. Non a caso gli anni ’70, cupi e difficili, vedono la comparsa dei primi fenomeni di retrovisione, che non è ancora Retromania ma quasi. Nella musica ci sono alcuni esempi, come un certo madrigalismo branduardo o la rilettura della classica in chiave Rock; ma gli esempi da manuale sono American Graffiti di George Lucas (’72, ambientato nel ’62), la serie Happy Days (’74, ambientata intorno al ’55) e Grease (’78, ambientato nel ’58). Il grande spartiacque mi sembrano le due deflagrazioni contemporanee e a tratti analoghe di Punk e Disco, dopo le quali niente è mai più stato lo stesso. Negli ’80 esplode definitivamente la Retromania. Due esempi musicali tra mille: Kid Creole che rimoderna l’Exotica ma anche tutta una scena, inglese e non, la cui teenage music è quella dei Velvet Underground uscita vent’anni prima. Anche gli stili reinterpretano elementi del passato, dai New Romantic ai Rockabilly. Inoltre gli anni ’80, con l’arrivo del CD, vedono l’esplosione delle ristampe, i best, i cofanetti, le compilation con la conseguente ricircolazione di musica del passato quasi sempre comperata dai 30/40enni, spesso con un effetto nostalgia inedito fino a quel momento nei consumi Pop di massa. La pratica del del Sampling, nata negli anni ’80 e esplosa nei ’90, suggerisce l’idea del Digging: cercare, comperare e ascoltare vecchi vinili (allora disprezzati) per cercarci dei campionamenti. Quindi il passato è diventato un ingrediente gradito di molte ricette Pop, un passato filtrato, remixato, post-prodotto per la contemporaneità. La narrativa (libri, ma soprattutto cinema e serie) è pure piena di passato anche immaginario, dal teen idol Harry Potter alle mille variazioni sui draghi: fenomeni impensabili negli anni ’60.
L’arrivo della rete ovviamente ha cambiato tutto e i modelli di consumo musicali delle ultime generazioni lo dimostrano. Innanzitutto lo streaming, che altera radicalmente due fattori: il concetto di possesso versus fruizione, e quello di musica passata versus presente. Oggi un mio studente ascolta Who are you degli Who, uscita 25 anni prima della sua nascita, insieme ai Måneskin. Li trova ambedue su “tutte le piattaforme”, con la stessa visibilità. Magari gli Who glieli ha consigliati YouTube o il suo compagno di banco. Per la sua idea di fruizione (quindi non di possesso) nella stessa playlist convivono passato e futuro, che lui non distingue e invece mescola secondo altri parametri (un processo che trovo molto salutare). Quindi oggi la Retromania, che trionfa e prospera, convive con un’idea nuova: il passato e il presente sono uguali. Naturalmente chi è più giovane tenderà a ascoltare più musica del presente (anche per irritare i genitori) ma con ampie eccezioni. E, data l’atomizzazione dell’offerta musicale online e la penetrazione culturale del Pop, la prossima hit teenage globale potrebbe essere del 1985, come è capitato a Running Up That Hill di Kate Bush, rientrata l’anno scorso nelle classifiche di mezzo mondo dopo essere stata utilizzata nella serie Stranger Things.
* Retromania: Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato, ISBN Edizioni