So’ boomer, c’è poco da fare. Certo, posso dire con qualche ragione che forse quelli nati dal ’60 in poi non sono effettivamente boomer (1946-64), e che essendo nato a fine ’59 in fondo neanche io lo sono. Posso raccontarmi che sono sempre stato un po’ avanti e qualche volta ci credo pure, ma la realtà la vedo ogni mattina allo specchio: non solo so’ boomer ma pure anzianotto, quest’anno sono 63. Una cifra impensabile, assolutamente non prevista né pianificata alla quale arrivo totalmente impreparato. Dal guardaroba ai gusti musicali, le abitudini, il linguaggio, la percezione di me: sono un vecchio totalmente inadeguato, socialmente disadattato e quando incontro un coetaneo generico (cioè non un misfit come me o i miei amici) resto perplesso, mi pare un signore anziano e non so bene come interagire: ci diamo del lei? Parliamo di prostata? Di Mara Venier?
Ci sono alcuni aspetti interessanti di questa condizione. Ho sempre trovato i vecchi bellissimi, e ho sperato di invecchiare anche per diventare come loro. Ho salutato con affetto la prima ruga e il primo capello bianco, e oggi sono fierissimo della mia barba nivea: non sono bello, ma sulla mia faccia c’è la topografia del mio tragitto che indosso con orgoglio. Poi la velocità del pensiero che aumenta con l’esperienza e conduce all’essenzialità: nella musica, nella scrittura e anche nell’insegnamento. Oggi sono molto più efficiente di trent’anni fa, sia in senso produttivo che creativo. Infine mentre a vent’anni volevo diventare un incrocio tra George Clinton e Marshall McLuhan, oggi ho ben più chiare le mie possibilità e lo scenario nel quale esisto.
Pensandoci capisco alcuni motivi del mio scarso adattamento. Innanzitutto la mia estrazione musicale e culturale che ha condizionato e condiziona molte delle mie scelte, da quello che ascolto alle scarpe che porto. Questo è vero anche per molti miei coetanei; purtroppo il confine è labile, e sembrare dei vecchi vestiti da teenager è un rischio frequente che corro anche io: cerco di starci attento ma non è facile. Inoltre essendo indipendente dalla nascita (salvo brevi intervalli) non prevedo pensionamento e quindi non ho quella scadenza naturale che molti hanno. Questi fattori cambiano molto la mia prospettiva. Aggiungerei che essere lievemente fuori quadro non è una novità, lo ero a 23 anni e lo rimango oggi.
Frequento poco i miei coetanei ma li vedo sui social e li osservo con attenzione, anche per cercare di capire me stesso. In fondo una volta eravamo uguali: perché spesso ho la tentazione di commentare “Ok Boomer” sotto i loro post? Cosa ci differenzia? E pensandoci forte ho trovato un altro elemento che mi rende difforme: sono allergico alla nostalgia, al feticismo del passato, ai bei tempi andati, a “vuoi mettere i Led Zeppelin”, al disprezzo del presente (e spesso anche dei giovani), insomma all’idea che alcuni tempi siano stati migliori di questi. Ho attraversato periodi bellissimi e irripetibili che ricordo con grande emozione, ma a cui non vorrei tornare e che non rimpiango: li ho vissuti, li serbo nel mio cuore, talvolta ci ripenso ma procedo. Se ascolto Battisti (il mio massimo a 13 anni) o Woodstock (a 14) ne noto pregi e difetti ma non mi fanno l’effetto Madeleine di Proust. Questo aiuta molto.
Il dilemma però rimane: non vecchio, certamente non giovane, vivo in un limbo generazionale cercando di schivare due atteggiamenti: da un lato il “sempre giovane”, un concetto grossolano e offensivo ma diffusissimo: non sono giovane, e il fatto che abbia dei tatuaggi non autorizza nessuno a chiamarmi “ragazzo”. E dall’altro la disperata pratica dell’anti-age: gente che si màrina, rimpolpa, ringuaina e filetta per poi sembrare dei vecchi impagliati, trofei immondi della loro battaglia malata e perdente. E nel mezzo noi, io e molti altri come me, che cerchiamo una via per diventare anziani sensati, sgualciti e dignitosi, fieramente vetusti e sempre sottilmente Punk.