Tecnomusicologia

Quando si dice Musica e Tecnologia la prima immagine che viene in mente a molti è un grosso macchinario dotato di manopole, pomelli e tantissimi tasti da cui spuntano dei cavi. Noi musicofili invece sappiamo che oggi anche i dischi Folk si fanno con la tecnologia e che i pomelli stanno tutti in un PC. Ma se si osserva la questione dall’alto ci si accorge subito che questa relazione è stata assai stretta fin dall’inizio.

Ogni strumento nasce dall’incontro tra musica e tecnologia: già nel 2.500 BC esisteva un artigianato specializzato in grado di realizzarne di sofisticati e bellissimi. È ovvio che questa relazione è simbiotica: gli strumenti diventano sempre più precisi grazie alla tecnologia e anche ai musicisti, che non solo suggeriscono migliorie ma poi ne trasformano i risultati in musica. Per molti secoli questa vicenda ha riguardato soltanto la produzione del suono, ma già intorno all’anno mille si inizia a pensare a una tecnica che non serve a produrre musica ma a fissarla e preservarla, cioè la scrittura. Che all’inizio è vaga e lascia ampio margine all’esecutore, ma che con l’adozione del pentagramma diventa rigidissima. La scrittura mette al centro l’autore, e rende possibile quello strabiliante congegno industrial-sonoro che è l’orchestra. Insieme a un’altra invenzione contestatissima: il Temperamento, cioè l’adozione di una scala lievemente diversa da quella naturale (che si basa su leggi fisiche), e la convenzione sull’altezza della nota  (440 hertz) che rende possibile l’accordatura uniforme.

L’autore diventa centrale nello stesso momento (l’800) nel quale trionfano gli inventori, che adottano un sistema per tutelare la paternità delle idee: il brevetto, a cui si ispira il diritto d’autore. In quel secolo la tecnologia fa passi da gigante, si brevettano nuovi strumenti e nuove soluzioni per quelli esistenti. È chiaro che ognuna di queste invenzioni può fallire o trionfare innanzitutto a seconda della reazione dei musicisti: la Chitarra Arpa a 21 corde non ce l’ha mai veramente fatta mentre il Sax (inventato nello stesso periodo) invece sì. In questi anni c’è un altro sviluppo cruciale: il Grammofono/Disco che cambia tutto, dal modo in cui si ascolta alla natura stessa della musica, la quale smette di essere un servizio a diventa un prodotto: nasce la musica Pop, che però mantiene la stessa relazione intricata con la tecnologia. L’elettrificazione degli strumenti (tra gli anni ’30 e i ’50) rende possibile la nascita del Rock’n’roll, che però inizia subito a far fare agli strumenti cose “sbagliate”. Da Buddy Holly a Muddy Waters sono molte le leggende sugli amplificatori coi coni sfondati, talvolta apposta, per ottenere una distorsione non pensata dai costruttori. I quali però si adeguano immediatamente, producendo circuiti e effetti per saturare e distorcere il suono. Se si pensa al genio di Hendrix non si può separare da quelli di Leo Fender e Jim Marshall, e viceversa. Negli anni ’80 arrivano il MIDI e il Campionatore, venduto come simulatore di strumenti. Ma fin dall’inizio gli utenti ne fanno un uso radicalmente diverso: ci campionano i dischi, creano un suono inedito (l’Hip hop anni ’90) e spesso ci infrangono la legge appropriandosi di musica altrui. L’industria prende nota e modifica i sistemi operativi per agevolare questa pratica. Idem col bending delle corde (sempre più sottili), i giradischi che diventano strumenti musicali o la Drum machine, pensata per simulare un batterista e che invece produce un’estetica totalmente nuova.

Quindi il macchinario coi pomelli (cioè il Moog, simbolo moderno di questa relazione) è la naturale evoluzione della Lira e del Liuto. In un contesto dinamico e fluido dove musicisti e artigiani producono attrezzi che, se hanno un senso, poi diventano strumenti: è vero per Stradivari, per Bob Moog e per il team (di musicisti e ingegneri) che produce Max MSP, il software per governare il suono più esoterico, duttile e sofisticato che c’è.

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