Metal Machine Music*

Uno dei tormentoni che accompagnano rivoluzione digitale è quello della presunta troppa facilità con la quale si possono produrre risultati – contrapposta all’artigiana lentezza dei secoli precedenti. Una polemica antica, che nei secoli è stata usata contro ogni nuova tecnologia destinata alla creatività. Per esempio la scrittura: la stampa a caratteri mobili, la stilografica, la macchina da scrivere (che avrebbe ucciso la poesia) e naturalmente il PC, che vuoi mettere il ticchettio della macchina da scrivere (esistono giornalisti vanitosi che continuano usarla, costringendo qualche sottoposto a digitalizzare il testo); si è sostenuto che il Word processor avrebbe cambiato per sempre il modo di scrivere, che la carta era insostituibile e che andare a capo manualmente conferiva un ritmo alla scrittura (non me lo sto inventando). Scrivo da abbastanza tempo per aver iniziato su una macchina da scrivere, e ricordo con sgomento le tecniche di editing del testo: il bianchetto (una vernicella bianca scrivibile che si spennellava sugli errori), le X per eliminare parole superflue, e le forbici per fare a striscioline la pagina e rimontare un testo. Quand’è arrivato il computer, a casa mia è stata festa grande.

Nella musica la botta è stata assai più poderosa, e le reazioni ancora più veementi: in fondo, almeno all’inizio, lo sconforto di un batterista di fronte a una batteria elettronica si può capire. Però solo all’inizio: oggi infatti la differenza è evidente, e un batterista che si senta minacciato da una Drum machine probabilmente non è un buon musicista. Se una macchina riesce a sostituirti al 100%, si vede che il tuo grado di specializzazione è basso: è vero nell’industria così come nella musica. Specie se si tiene conto di un fatto che a me pare ovvio ma che spesso si trascura: la batteria elettronica è programmata da una persona, il cui gusto è essenziale. Infatti esistono grandi produttori e pippe stratosferiche – mentre se bastasse un PC…

La polemica si fece furibonda negli anni ’80, quando apparvero sul mercato strumenti MIDI sempre più sofisticati e economici. Con un risvolto curioso: proprio i musicisti che all’inizio si scagliarono con più veemenza contro la musica fatta con le macchine, qualche anno dopo le utilizzavano con disinvoltura (e risultati a volte raccapriccianti) nelle loro produzioni. Conosco un autore di musica teatrale (che non nomino perché è pure permaloso) che utilizzava nei mix finali i ritmi “reggae” o “disco” del suo tastierone – non per scelta artistica, ma per comodità. Naturalmente a fronte di questo cialtrone esistono milioni di raffinatissimi programmatori che hanno saputo produrre musica nativa digitale, suonando i loro PC come fossero degli Steinway.

Ecco, oggi è il turno della prima generazione di musicisti digitali di dire la loro sciocchezza, che è: “Vuoi mettere la professionalità e completezza del software audio pro, che è sì digitale ma è pur sempre uno strumento? Oggi con l’iPad tu muovi delle palle, strusci le dita sullo schermo e hai l’illusione di fare musica.” Esattamente l’obiezione fatta loro alcuni anni fa’ da chi rifiutava la tecnologia. Per tutti costoro ho una notizia: la musica è tecnologica da sempre. Il violino è una macchina raffinatissima e così il pianoforte, strumento di una tecnologia senza precedenti. Quando fu introdotta la chitarra elettrica si disse che i chitarristi sarebbero diventati indistinguibili, e la musica tutta uguale. Certamente il suono di Hendrix è anche di Leo Fender (inventore della Stratocaster) così come quello di Salvatore Accardo è anche di Stradivari. Max Roach e Keith Moon suonavano lo stesso genere di batteria (strumento altamente tecnologico, e ancora in evoluzione), ma è difficile immaginare stili più distanti. Mentre è facile immaginare cos’ha detto il primo bonghista che ha visto delle bacchette: “Ma vuoi mettere il suono delle mani? Da adesso tutti i tamburi suoneranno uguali, e suonarli diventerà semplicissimo.”

* titolo di un album di Lou Reed del ’75 che gli attirò molte critiche di questo tenore.

Nella foto: una delle schermate di Loopseque, grazioso strumento per iPad.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *