Giovani ma brutti

Qualche anno fa ho parlato in questa pagina dell’essere giovani, sfottendo un po’ quegli attempati signori che invece di godersi i previlegi dell’età si sbattono come bestie nel tentativo di apparire giovani, o quantomeno più giovani. Ho anche parlato della difficoltà di esserlo davvero, e degli indubbi vantaggi (gli svantaggi essendo ovvi) non dico della vecchiaia ma della maturità (l’articolo intero lo trovate su www.radiogladio.it).

Stavolta invece ho in mente un’altra faccia della stessa faccenda: la gioventù come scusante. Il codice penale parla chiaro: i minori di quattordici anni non possono essere perseguiti penalmente, e mi pare pure giusto. Se ammazzi qualcuno a nove anni non puoi essere ritenuto veramente responsabile (infatti di solito c’entra la famiglia o l’ambiente circostante); allo scoccare del quattordicesimo anno si diventa punibili, anche se sarà un tribunale speciale – quello dei minori – a giudicare, e se si viene condannati si sconterà la pena in un carcere minorile fino al compimento dei diciott’anni. Da quel momento in poi essere diciottenni o sessantottenni per la legge è lo stesso, e si ricomincia a distinguere credo dopo i settantacinque anni, età raggiunta la quale non si va più in carcere.

Un sistema brutale, come tutti quelli basati solamente su una data, prima della quale sei qualcosa e dopo la quale qualcos’altro. Ma tant’è: mica si può fare a tutti un esame di idoneità prima di dargli il diritto di voto. Bisogna stabilire un giorno, raggiunto il quale si diventa responsabili, indipendenti, punibili, gestori di capitali, etc. Dopotutto è un buon sistema – e il compimento del diciottesimo anno è per tutti un appuntamento speciale (e non solo perché si vota). Sfortunatamente nella società dello spettacolo questa regola non si applica. Si comincia da piccoli: la televisione è piena di mostriciattoli incolpevoli, pettinati da gente malvagia, che cantano, ballano e imitano Biscardi. Il successo strepitoso di questo circo Barnum non è dovuto alla bravura con cui Jessico, di soli sette anni, imita Aldo Biscardi, ma al solo fatto che lo faccia, tenero e inconsapevole (e indotto da genitori e autori tutti maggiorenni e quindi punibili, ma purtroppo impuniti).

Ecco, ho l’impressione che uno schema simile si applichi a tutte le forme di creatività alle quali qualcuno appiccica l’aggettivo giovane. La giuria del “Concorso internazionale per giovani autori Santa Genuflessa – o anche Arci, se preferite” (limitato agli under 30) non si aspetta di sentire qualcosa di straordinario, e non lo cerca nemmeno. Gli basta ascoltare cose decorose, sufficienti, possibilmente derivative per non dire banali: “sono giovani, si faranno”, “il talento va coltivato”, “ha delle grandi possibilità”. Idem per l’arte figurativa: i quadri di “giovani artisti” non devono essere belli; basta che siano: sono “giovani”. E i film? Ho visto film sbagliati, mal scritti e mal girati ma di giovani autori (talvolta quasi cinquantenni), e in quanto tali definiti “interessanti”, “degni di nota”, “che lasciano intravedere un grande talento”, “acerbi ma espressivi”.

Questa ipocrisia provoca molti effetti negativi: insospettisce alcuni – tra cui me, crea una falsa categoria che non è mai esistita (per accertarsene basta leggere le biografie di artisti di ogni tempo: spesso le cose più belle sono proprio “opere giovanili”) ma soprattutto spinge i giovani a fare cose brutte, sciatte e prevedibili proprio perché giovani e quindi non punibili. Ragazzi, fatevi due conti: Hendrix è morto a ventisette anni, e anche Tim Buckley; Jim Morrison a ventotto e Caravaggio a trentasette. I Sex Pistols avevano vent’anni nel ’77 e i Clash poco di più.

Ecco: umilmente proporrei di limitare la dicitura “giovane” agli artisti minorenni, e una volta compiuti i diciotto si dica cantante, regista, pittore, attore: insomma scatti la punibilità. Se poi sei fantastico non voglio nemmeno sapere quanti anni hai; se invece fai cacare fai cacare comunque – perfino se hai vent’anni.