Le porga la chioma?

Mi pare evidente: pochi italiani sono patriottici – per fortuna. Io per esempio non lo sono affatto. L’Italia mi piace, mi diverte, sono perfino buffamente fiero di esserci nato e, soprattutto quando sono all’estero, ne apprezzo l’inventiva e l’estro; ma patriottico proprio no. L’Italia infatti mi delude, e mi fa anche incazzare molto; per molti versi è un paese ridicolo, governato da una classe dirigente mediocre (di destra e di sinistra), e non credo che il mondo sarebbe un posto migliore se fosse più simile all’Italia: penso esattamente il contrario. Diciamo che aderisco alla mia Patria in modo obliquo, critico e distaccato – come la maggior parte di noi italiani ed europei.

Ho scoperto il patriottismo a 19 anni, durante un lungo periodo trascorso in Australia (grazie ad uno scambio culturale: la vita è strana). All’epoca c’era una campagna pubblicitaria del governo locale proprio su questo: affissioni, spot radiotelevisivi, riferimenti nei programmi tv (simili nel tono alla attuale campagna antifumo in Italia) e tutto un tripudio di bandiere, adesivi, giocattoli che invitavano al patriottismo, all’Australian Pride – l’Orgoglio di essere Australiani. Io ero guaglione ma già arzillo e, assai sorpreso, ho chiesto: “In che senso orgogliosi? Perché? A che serve?” La risposta che ho ottenuto mi ha illuminato: “Questo è un paese giovane, fatto di persone di nazionalità diverse (quelli di discendenza non anglo allora li chiamavano “etnici” e anch’io ero etnico, con mio grande divertimento) e queste campagne servono a cementare l’unità nazionale”. Solo qualche anno dopo ho capito che questa filosofia veniva da un altro paese, altrettanto giovane e sprovveduto: gli Stati Uniti.

Gli Usa sono gli indiscussi campioni del mondo di Patriottismo, e con la guerra in Iraq si sono scatenati. Basta farsi un giro su Internet e si trovano milioni di immagini, sfondi scrivania, nastri, magliette e altro materiale che sostiene, oltre alla giustezza della guerra totale, l’orgoglio Americano: si va dalla camicia “American pride” con bandierone sul retro, alla fantastica toppa “Freedom is not free” (che vuol dire sì “la libertà non è gratis”, ma anche “la libertà non è libera”, che oggi mi pare almeno altrettanto vero) fino alla T Shirt che dice: “First Iraq, then France! then Germany (again), then Korea (again): will they never learn.” (prima l’Iraq, poi la Francia, poi la Germania (di nuovo), poi la Corea (di nuovo): non impareranno mai.)

Ve le immaginate voi le stesse cose in Italia? Una tazza tricolore con  sopra scritto “Orgoglio Patrio?” Le pernacchie si sprecherebbero. E a ragione; perché noi siamo un paese civile, evoluto, con una lunga storia alle spalle. Una storia – anche recente – che ci ha insegnato, mi pare per bene, una lezione: se tu pensi di essere il massimo, è automatico che gli altri siano di meno (a volte quasi niente); se pensi che il tuo modello sia davvero il migliore (e questo lo pensano perfino i pacifisti americani più militanti: dal mito dei Padri Fondatori non si scappa) non meraviglia che poi qualcuno lo esporti a suon di randellate dove gli pare e piace. Se sei convinto che il tuo sia il migliore dei luoghi possibili, è ovvio che gli altri sono peggiori: per accertarsi di quest’idea basta fare due chiacchiere con un turista americano in difficoltà.

Sono molto orgoglioso dei miei compatrioti italici che, in larga maggioranza, hanno un atteggiamento prudente e distaccato rispetto alla Patria, non si riempiono la testa di retorica scema e dannosa e si rifiutano, malgrado i ripetuti inviti, di cantare l’orrendo “Elmo di Scipio”. Che se devono proprio essere fieri di qualcosa scelgono un piatto tipico, un vino, una squadra, o tutt’al più una zona geografica (come per me la Sicilia). Che la bandiera italiana la tirano fuori quando gioca l’Italia ma poi la rimettono subito via. Che sono campioni di critica feroce verso se stessi e il loro paese, come se sapessero che i loro pregi sono proprio i loro difetti e viceversa. Bravi: sono fiero di voi, di noi, di me.