K9 nightmare

Era da molto che pensavo di parlarvene, ma non volevo urtare la sensibilità dei molti lettori che, credo, non saranno d’accordo con me. Poi l’altro giorno ho assistito a un evento spettacolare e ho deciso di scriverne. Però so, e voglio dirlo all’inizio, che questa è solo l’opinione di una parte minoritaria del genere umano; so anche, e pure voglio metterlo in cima, che un’opinione diversa dalla mia avrebbe lo stesso valore. Però questa pagina ce l’ho io.

Per ragioni molto variamente antropologiche sono stato a vedere le semifinali di un campionato mondiale di cani a Long Beach, California. Si trattava di un’esibizione canina classica: ispezione del giudice (denti, pelo, simmetria), trotto del cane con conduttore (sempre esilarante, a volte ai limiti dell’incredibile) e posa in piedi, allungato al massimo (che si ottiene mettendo del cibo a circa 10 cm dal naso dell’animale, che ha una specie di erezione della postura). Era un evento in abito da sera (io l’ho scampata perché ero nel settore stampa), con pubblico urlante, diretta Tv, inno nazionale, the winner is, ecc. Naturalmente il set, Long Beach, ha aggiunto molto all’evento: soltanto il pubblico si meriterebbe un reportage di venti pagine. I conduttori sono quasi tutti professionisti – e sicuramente benestanti. Si va dalla ragazzotta bene con la fissa per lo Yorkshire al coreano con oltraggioso barboncino strafonato. Cani di questo tipo necessitano di cure particolarissime, dovendo incarnare l’ideale di perfezione nella propria razza, esattamente come certi divi di Hollywood incarnerebbero la loro: diete rigorose, esercizio calibrato ma costante, cura dell’estetica, del pelo, dei piedi… Come mi ha spiegato un conduttore: “Questi non sono cani da casa”.

I cani sono assolutamente pazzeschi, e non hanno nulla di umano, pardon canino – salvo in rari casi. Sono mutanti, come certe persone che abitano nella mia Tv, ma senza chirurgia. Lavati e stirati, pettinati e impomatati, docilissimi – ai limiti dell’autismo: sono stato dentro circa due ore e non ho sentito MAI nemmeno un abbaio. Si prestano a questo circo apparentemente rassegnati alla follia dei loro padroni, in cambio di frequenti bocconcini (croccantini? MDMA? Tranquillanti? Non so dire) che il conduttore porta sempre in tasca. Li ho guardati bene negli occhi, povere bestie, e ho avuto paura. Alcuni sembravano piangere mentre altri, come l’Elvis coreano nella foto, avevano un’espressione di follia omicida – limitata solo dalle dimensioni topesche. Altro che Gozilla: quella bestiaccia alta sei metri è il mio peggiore incubo.

Lo so: molti di voi hanno un cane e ci si trovano benissimo, hanno instaurato una relazione adulta e non basata sulla sua necessità di cibo ma su valori comuni e condivisi. Però mi chiedo, e vi chiedo, onestamente: quanti? Secondo me pochi. Non mi pare assurdo che ti piaccia avere un cane (specie se rimuovi la sua merda dal mio marciapiede), e nemmeno che ci sia una qualche forma di affetto tra di voi. Però devi sapere che quello che gli umani hanno fatto ai cani nel corso dei millenni non solo non ha scusanti, ma è probabilmente il singolo atto di scellerata infamia più vasto mai compiuto sul pianeta. Abbiamo preso degli animali liberi e li abbiamo costretti a stare sotto “padrone”. Li abbiamo selezionati in base a criteri ripugnanti e sbagliati, come la tenerezza o la buffezza. Abbiamo favorito deformità fortemente invalidanti, come nel caso dei bassotti: chi di voi vorrebbe avere un torace lunghissimo e gambe minuscole? Abbiamo creato specie che non potrebbero più sopravvivere in natura (questo lo abbiamo fatto anche a altri animali e piante), che esistono solo perché alcuni di noi le trovano graziose.

Scusate, io non provo orrore quando un cane sbrana il padrone. Mi pare perfino bello, un rigurgito di istinto, un ritorno alla natura. Ne ho provato invece parecchio al concorso di Long Beach: mi ha ricordato cosa siamo capaci di fare noi umani a chi non può ribellarsi.

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