Bladerunner Blues

All’inizio era il paesaggio, e basta. Il soundscape primordiale possiamo immaginarcelo come immenso e complesso, come spesso capita coi suoni naturali: animali, vento, acqua – suoni perfetti, e tuttora fondamentali nel nostro bagaglio uditivo. Le prime forme di espressione musicale umana dovevano possedere la stessa caratteristica: richiami, micro-melodie, ulteriori elementi di quel paesaggio sonoro perfettamente sincronizzati col resto. Per millenni anche la musica ha convissuto con l’ambiente, spesso giovandosene e comunque non potendone prescindere: i canti di lavoro, per esempio, o i cantanti nelle fiere e nei mercati. La chitarra acustica con corde di metallo è stata adottata dai folksinger proprio per il suo maggiore volume, che consentiva loro di essere sentiti in luoghi rumorosi.

Poi è arrivata la musica, col ruolo che le attribuiamo oggi: un suono nobile, di primo piano, che richiede un paesaggio neutro, il più neutro possibile: la sala da concerto classica è l’apoteosi di questa idea dell’ascolto concentrato. La musica si separa dall’ambiente, dai suoni quotidiani e ne diventa l’opposto: l’ordine invece del caos, l’armonia invece della cacofonia, etc. C’è da dire che il paesaggio sonoro odierno è talmente brutto che bisogna essere grati alla musica di esistere, e di cercare di annullarlo. Ma questo modo di concepire l’ascolto è relativamente recente, e ci si è arrivati per gradi. Bach ha composto molta musica d’uso, tra cui le sue famose messe: un genere che non solo deve rapportarsi con l’ambiente nel quale viene eseguito, una chiesa (luogo acusticamente non neutro, e anzi spesso disegnato anche per ottenere un reverbero “divino”), ma che propone un’idea di ascolto assai diversa da, per esempio, Wagner o Debussy. Ancora nell’800, nei teatri si entrava per le arie e si usciva nelle parti strumentali, e Rossini – sublime anche in questo – prendeva una percentuale suo gioco d’azzardo che si svolgeva nel foyer durante la rappresentazione. E’ col romanticismo che si afferma definitivamente l’idea che la musica sia separata dall’ambiente e che la sua fruizione perfetta sia nel silenzio assoluto.

Il Pop riporta la musica nel mondo – in un paesaggio acusticamente degradato come il nostro. Nell’epoca della musica portatile, questa è spesso utilizzata come antidoto all’ambiente, dallo stereo della macchina all’Mp3 player in metropolitana. La folle compressione delle radio commerciali, che esasperano il volume di emissione schiacciando tutti i suoni verso i massimo, nasce anche da questa idea: annullare i rumori d’ambiente. La contrapposizione tra ambiente e musica è talmente netta che quando un musicista inserice degli elementi naturalistici nelle sue composizioni (come il tuono o la macchina del vento), questo diventa subito l’elemento caratteristico di quell’opera.

Curiosamente, come ci siamo detti qualche numero di questa rubrica fà, la tecnologia digitale (che rende possibile l’integrazione assoluta tra suoni musicali e naturali) sta riportando la situazione indietro: la musica è sempre più “ambient”, in grado di mescolarsi col paesaggio; ha spesso una funzione d’uso, come il ballo. Ha una sua dignità come opera a se stante ma si presta benissimo a mille riutilizzazioni (come la sincronizzazione con immagini) e, cosa sconcertante per molti, va perdendo il concetto di autore: già i remix sono spesso creazioni collettive la cui paternità non è chiara. Insomma: un altro indizio, stavolta positivo, che l’idea del futuro come ritorno al passato non è solo una trovata della fantascienza.

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