Abbasso il progresso (e sempre viva l’anno scorso)

Anche quest’anno si è tenuto a Faenza il Meeting delle Etichette Indipendenti, principale appuntamento italiano del settore e occasione unica di incontro, di esposizione, di presentazione e dibattito . E’ naturale quindi che ci siano aspettative forti, da un lato di qualità e varietà delle proposte, dall’altro dell’affermazione di un orgoglio indipendente, mai giustificato come ora. Ci mancavo da un paio d’anni e purtroppo invece ho trovato una situazione curiosa. La varietà delle proposte c’era di sicuro, peccato che la sovrapposizione fosse la regola – col risultato che spesso c’erano tre cose simultanee. E purtroppo, come e più delle scorse edizioni, invece dell’independent pride c’è stato questo struscio amorevole con l’industria, con gli sponsor e le istituzioni che se da un lato è comprensibile (Audiocoop, che organizza il Mei, è un’associazione di etichette che legittimamente aspira a diventare una controparte politica) dall’altro produce situazioni assurde. Come l’annunciata apparizione di Flavia Vento (non s’è capito in quale veste) o l’altrettanto surreale presenza di Baglioni nel programma. La mattina in cui sarebbe dovuto arrivare, il Mei s’è riempito di cartelli che dicevano: “C. Baglioni non sarà presente” con varie aggiunte feroci a pennarello: “tanto è uguale”, “sollievo a Faenza”, etc.

Ma la cosa più stonata, e secondo me piuttosto grave, è stato il convegno “I nuovi modelli di distribuzione della musica”. Mi aspettavo molto da un incontro così, soprattutto al Mei: è un tema centrale, e sarebbe stato utile sentire molte opinioni indipendenti. Invece i relatori, tranne qualche rara (e pregevole) eccezione, erano perlopiù dipendenti di aziende, corporazioni e istituzioni: Microsoft, Tim, Wind, la Fimi, la Siae, il Direttore del festival di Sanremo, ecc. Queste persone hanno parlato senza alcun contraddittorio, libere di dire quello che volevano. Tra le perle ascoltate vorrei soffermarmi su due. La prima viene da uno dei massimi rappresentanti dell’industria musicale italiana; era in una frase più lunga, sulle contromisure alla crisi in atto: “E’ chiaro che non possiamo fermare il progresso tecnologico”. E’ certamente vero, ma il processo mentale che c’è dietro è indicativo: questo progresso lo spaventa, e lui fa quello che può – provando, immagino, almeno a rallentarlo. Spero che lo paghino bene, che fa proprio un lavoraccio. Sul fronte di un futuro più cupo di Bladerunner si schierano invece le Telecom , che ci hanno ripetuto – con grande suadenza e buona tecnica – lo stesso slogan: il futuro della musica è nelle suonerie dei cellulari (cioè in una cosa che ci si affretta a interrompere – salvo a non voler rispondere). Quando si è chiesto di replicare a queste assurdità (non a caso l’ hanno fatto quattro musicisti), ci è stato dato un minuto a testa: “Siamo in ritardo”. Che cosa vuoi dire in un minuto? Gli ho citato Lawrence Lessig: “Il passato cerca di impedire il futuro, e voi mi sembrate un eccellente esempio.”

E’ un peccato che il Mei privilegi la quantità alla qualità e dei messaggi promozionali a veri dibattiti; che dia spazio a cose interessanti (come la presentazione del coordinamento no-copy, e non solo) per poi annegarle in una furibonda raffica di premi: quest’anno almeno 100 (pochissimi gli esclusi, ma sarà per l’anno prossimo). Soprattutto mi sembra politicamente, strategicamente e perfino economicamente miope cercare di abbracciare l’industria e il mainstream organizzando parate di questo genere, mentre oggi dovrebbe essere l’industria a inseguire e le etichette a mostrare la strada. Penso che Audiocoop debba decidere se voglia ancora tante piccole realtà (com’è stato dall’inizio e come è ancora nei padiglioni espositivi, dove c’è il vero bello del Mei) o preferisca concentrarsi sulla propria immagine, rassicurando assessori, vicepresidenti e pierre aziendali con starlette televisive, popstar in declino e convegni senza repliche. Magari si potrebbe dividere in due: un bel Mei Privé per i vip e un altro più sensato per noi ancora indipendenti. Dispiace strapazzare il Mei: ma si sa, chi semina Vento…