Corpo a corpo

Attenzione: questo articolo descrive modi di pensare sbagliati e suggerisce logiche talvolta controproducenti. Non provateci a casa.

Nel dover periodicamente scegliere i politici che comporranno il parlamento, alcuni dei quali poi governeranno per degli anni, ci sono dei parametri ovvi, altri di recente adozione e qualcuno completamente irrazionale. Tra i primi direi certamente le idee, le proposte politiche, lo schieramento nel quale si collocano, le battaglie politiche e sociali che hanno portato avanti, e via dicendo. Sovente insieme all’interesse personale: se sono un commerciante e un certo partito propone delle leggi a me favorevoli, è certamente un punto a favore. Tra quelli più recenti c’è il carisma del leader, un modello reintrodotto in Italia da Berlusconi; c’erano stati altri leader carismatici (come Berlinguer) ma non si sono mai affidati solo a quello, e forse anche per questo non hanno mai governato davvero. Oggi invece è un aspetto apparentemente decisivo. Così come la radicalità di certe proposte, o la promessa di fare “quello che vuole il popolo”, che a pensarci bene non è un’idea così brillante ma oggi fa grande presa sugli elettori. Naturalmente è anche importantissimo l’uso che i politici fanno dei nuovi media, non solo per accreditarsi verso gli elettori ma per screditare gli avversari – uno sport pure di recente adozione, purtroppo molto popolare.

Io però non riesco a sfuggire a un sentimento irrazionale che mi tormenta da molti anni, che magari non influenza il mio voto ma sicuramente gioca un ruolo importante. Non è una cosa di cui mi vanto, anzi potete considerare questo articolo come una confessione di colpevolezza. Nel giudicare i politici, oltre a quello che dicono mi concentro sempre molto sul come lo dicono, come sono vestiti, come si rivolgono a me attraverso i media. Osservo come muovono le mani, come fumano, cosa tengono nelle tasche, come portano i capelli, come parlano. Anni fa mi trovavo a Roma e ho passato una mezz’oretta a pedinare Ignazio La Russa da lontano, ammirandone la falcata (puro spaghetti western), il modo di muoversi, di telefonare, di parlare con gli altri, di abitare il cappotto. Quando guardo Renzi mi chiedo chi gli abbia stirato la camicia, scelto quel taglio di capelli o preparato il caffè quella mattina. Qualcuno mi spaventa: sogno Franceschini alla riunione di condominio mentre dice che dal mio balcone sgocciola sul suo, o Santanchè che si lamenta della musica alta. Rimango chiuso diciotto ore in ascensore con Toninelli, poi tampono Brunetta, quindi faccio naufragio con Attilio Fontana e infine divento dirimpettaio di Paola Taverna, che la mattina canta gli stornelli sul balcone.

Mi immagino la signora Maria Elisabetta Alberti Casellati alle prese con la bustaia, o quando scopre che il suo dog sitter è gay. Luigi Di Maio mentre valuta diversi tipi di prugne secche al supermercato. Insomma non riesco a prescindere dal considerare il modo in cui occupano lo spazio, come interagiscono con il mondo, “chi sono” non dico personalmente, ma come sono nel proprio spazio sociale, come si pongono verso chi li ascolta, cosa intendono dirmi con un certo linguaggio corporeo o un tipo di vestiario (poco, di solito: in questo Salvini rimane insuperato). Insomma, alla fine mi ritrovo a chiedermi: con chi preferirei passare un’estate, Fratoianni o Berlusconi? Quale dei candidati sceglierei come compagno di sbronze, Gelmini o Casini? Dovendo fare l’America coast-to-coast in macchina starei meglio con Casalino o con la Raggi? Capisco perfettamente che non sia un parametro sensato; sicuramente non per una scelta politicamente responsabile. Però non riesco a togliermi dalla testa la possibilità di trovarmi seduto a fianco di Vincenzo De Luca in un volo diretto per l’Australia: non credo che sopravviverei, perfino se avesse ottime idee.

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