Cari Fosforisti,
qui (cioè nelle mie immediate vicinanze geografiche e culturali) è già da qualche giorno che ci si chiede cosa mai si potrebbe fare per aiutare la gente del Giappone, a cui è successa una cosa che a pensarci bene fa tremare le gambe – e gli sta ancora succedendo. Se lo chiede anche il New York Times di stamattina, in un panel intitolato proprio Quali aiuti ha senso dare al Giappone? Le risposte che i vari esperti propongono hanno tutte un qualche senso, dagli aiuti pratici a quelli scientifici; c’è chi si pone il problema del particolare spirito nazionale giapponese e suggerisce aiuti indiretti, chi parla di una forma di supporto meno immediata ma altrettanto importante, la speranza: “C’è una generazione segnata da questa tragedia, cui spetterà il compito di ricostruire. La comunità internazionale può organizzare scambi di studenti e opportunità di studio per allargare gli orizzonti culturali e morali di questi giovani.” Ecco: secondo voi, di che genere di aiuto può aver bisogno il Giappone aldilà della Protezione Civile? Esiste qualcosa che gente come noi può fare per aiutare la terza potenza economica mondiale a superare, anche psicologicamente, questo genere di disperazione?
2 thoughts on “Fukushima Blues”
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Forse scriverò solo una cazzata melensa, ma penso che, per iniziare umilmente, quello che tutti noi possiamo fare fin da subito è smetterla di vedere i giapponesi come un popolo di perversi sempliciotti.
Mi è molto piaciuto questo post di Bordone http://www.freddynietzsche.com/2011/03/12/una-questione-di-umanita perché scrive quello che anche io ho percepito negli anni non solo tra i giornalisti ma purtroppo anche tra le persone “normali” e quelle acculturate.
Ho avuto varie esperienze personali di “interazione” tra giapponesi e italiani e mi sono sempre cadute le braccia (per non dire i coglioni) per la semplice disumanità con la quale venivano trattati i miei amici giapponesi.
Rispetto, rispetto!
Non so, non ho mai considerato i giapponesi come “popolo di perversi sempliciotti” o cose così…
Ma c’è veramente qualcuno che lo pensa?
Non è invidia?
Io li ho sempre visti come “società a sè”, ma in modo senz’altro positivo.
Quello che mi viene in mente, da persona civile (anche se è scontato), immagino quanti abbiano perso casa, affetti…
C’è bisogno di cibo e generi come medicinali per coloro colpiti fuori dai grandi centri, questo per la parte materiale.
Per la parte spirituale, sebbene siano dotati più di noi (penso io), aver cura di salvaguardare i piccoli, i bambini, i ragazzini, le donne – un discorso da apocalisse, cosa che non mi sembra tanto lontana da ciò che è successo lì.