Make cultura great again
È di questi giorni la campagna social di Fratelli d’Italia sulle nuove politiche culturali del governo Meloni: “7 miliardi dei cittadini utilizzati per finanziare attori e film mediocri cari alla sinistra: è finita, abbiamo abbattuto un altro muro”. Aldilà del linguaggio aggressivo e apocalittico mi pare un argomento degno di qualche riflessione.
Vediamo di capirci. I finanziamenti pubblici al cinema in teoria dovrebbero proprio servire a sostenere dei film di alto valore culturale ma che, per loro natura, farebbero fatica a vivere del botteghino. Un docudrama sulla vita dei pastori di marmotte della Val Pignazzola, fatto dei lunghi silenzi, scenari mozzafiato e marmotte transumanti ha un valore documentale, identitario, magari anche artistico ma al cinema andrebbe così così. Oppure le opere prime di registi giovani che affrontano temi contemporanei o magari spinosi: produrre un film è uno sport costoso, e far crescere la scena culturale è parte dello scopo per cui esistono quei finanziamenti – almeno finora. L’altra possibilità è che i fondi a sostegno del cinema vadano a sostenere attori e film di sicuro successo, in un’ottica trumpiana nella quale lo stato, come le aziende, deve generare profitti: marmotte no, cinepanettone sì. Purtroppo invece l’intera operazione ha un sapore di rivincita, di spoil system: da oggi in poi quei 7 miliardi dei cittadini saranno utilizzati per finanziare attori e film mediocri, però cari alla destra: finalmente abbiamo creato un altro muro. Io ho già comperato il pop corn, vivremo in tempi interessanti.
Il governo sostiene che in Italia esiste un sistema di clientelismo che favorisce (e finanzia) certi film, registi, argomenti e attori di sinistra. Avendo operato da quasi 50 anni nel mondo della cultura italiana variamente intesa, devo dire che non ho mai notato alcuna attenzione da parte delle destre sulle questioni culturali (se si esclude il povero Tolkien). Silvio Berlusconi, considerato il padre dell’attuale maggioranza, aveva gusti non solo molto distanti dai miei ma profondamente nazional-popolari, cosa che rivendicava con orgoglio: per anni i canali Mediaset sono stati a sua immagine e somiglianza. Aggiungerei che ovunque nel mondo la maggioranza delle persone che si occupano di questioni artistiche sono “di sinistra”, o meglio progressiste; che la sinistra (variamente intesa) negli anni ha favorito lo sviluppo di esperienze culturali, spesso a livello locale, contribuendo a creare un humus, una scena artistica e quindi forse anche un’adesione.
Siccome però qui in casa ci piace dire le cose come ci appaiono (spesso dandoci la zappa sui coglioni molto forte), vorrei aggiungere che la frase 7 miliardi dei cittadini utilizzati per finanziare attori e film mediocri cari alla sinistra è spesso stata vera. Che esiste un clientelismo culturale, una casta di autori eletti, un rondò di soliti che presenziano, promuovono, sostengono, partecipano, baciano dei culi e poi incassano. E i cui film, duole dirlo, sono una lotteria: talvolta buoni, magari pure ottimi, ma altre volte risvegliano il Gasparri che c’è in me – non bello. Il mio sogno è che si usino quei 7 miliardi per finanziare attori e film allo scopo di rendere la cultura italiana più grande, anche nel senso di ampia. Quale cultura? L’unica che abbiamo.