Ho passato le vacanze di Natale in Israele, un posto curioso e naturalmente diversissimo da quello che ci si immagina guardandolo al telegiornale. Innanzitutto è pieno di gente molto diversa, molti sono nati lì, insomma non ha quell’aspetto monolitico che ci si aspetterebbe. E poi Tel Aviv è la “gay capital of the middle east”, una città di perdizione – indubbiamente molto divertente. Ovviamente dietro a tutto c’è una guerra (che si vede bene), e questo cambia inevitabilmente la prospettiva delle cose: abbiamo tutti un’opinione su quello che succede laggiù, e andandoci la mia non è cambiata. Quello che cambia il punto di vista: da “Israele”, diventa il negoziante all’angolo (che è marocchino ma parla inglese), il tipo dell’hummus (che è ortodosso e indossa il Tzitzit), il mio amico Ishai, che mi ha portato a vedere Tel Aviv, che è molto bella, decadente e austera – o anche cubica, grigia e decisamente bunkeristica. Ovviamente su tutto aleggia un doppio spirito: il noto, caustico umorismo ebraico (un modo di pensare, in realtà), e ovviamente la situazione geo-politica.
Gerusalemme poi è un posto davvero incredibile – la madre di tutte le città labirinto come Napoli, Varanasi o Marrakech. La città vecchia (non ho visto che quella) è esattamente come dovrebbe essere: la Via Dolorosa, la Chiesa del Santo Sepolcro, la Spianata delle Moschee (con la Cupola della Roccia e la Moschea di Al Aqsa), e il Muro del Pianto. Come sapete non sono religioso; il punto però qui è l’effetto che questa fede ha prodotto nella storia. E la Chiesa del Santo Sepolcro è un luogo davvero pazzesco, decine di chiese una dentro l’altra, su molti livelli, con graffiti trecenteschi sui muri e – ovunque ci si giri – strati di storia, dal 355 in poi. Ma anche la Spianata, il Muro: luoghi simbolici, furiosamente contesi millimetro per millimetro da migliaia di anni, e si sente. Gerusalemme è un’esperienza che – se uno è sensibile al concetto di infinito/finito – non si dovrebbe perdere.
Molto notevole anche l’esperienza alimentare: il remix di cucina Yiddish, Mediorientale e generico international (c’è una gran moda di Sushi al momento) è notevole, e perlopiù si tratta di fast food, il mio preferito. Per l’Hummus, a Gerusalemme, chiedete di Lina vicino alla Porta di Damasco.
Non posso infine non menzionare la stupefacente eleganza degli ebrei ultra-ortodossi, che secondo me sono davvero avantissimo nel vestire. Purtroppo il clima mediorientale mal si adatta ai pesanti cappotti, i cappelli di feltro (e alcuni perfino di pelliccia) che indossano anche d’estate (ho scoperto che si vestono come in Polonia, o in Russia, nell’800). Però ne ho visti certi di un’eleganza da levare il fiato (ma si sa, io ho un debole per il nero).