Elettrocomunismo

Uno degli elementi entrati in crisi col digitale è quello della proprietà intellettuale; non tanto per lo scambio di file in rete, quanto proprio per la natura della tecnologia. Le immagini in rete sono quasi tutte protette, tranne dove espressamente scritto. Posso scaricarle e guardarle, ma non ridistribuirle o manipolarle. Però invece spesso si prende un’immagine, si estrapola un dettaglio, si modifica – insomma si parte da qualcosa per arrivare a qualcos’altro. La domanda sorge spontanea: di chi “è” quest’immagine? Dipende dal grado di manipolazione, ma anche dalla notorietà del proprietario: è difficile che un ragazzo thailandese venga a sapere che un grafico cileno ha usato parte di una sua immagine per lo sfondo di una brochure. Partire da un’immagine esistente però non è solo comodo o disonesto, ma favorisce la creatività: posso isolare un dettaglio, cambiargli forma e colore, inserirlo in un contesto diverso e arrivare a un risultato molto distante dall’originale – e assai più simile al mio stile, qualunque esso sia. Se però l’elemento manipolato resta identificabile il copyright è dubbio e, nel caso di uso pubblico, il rischio di una causa c’è.

Idem con la musica, dove però le cause ci sono state, e milionarie. La regola è sempre la stessa: non si può mai, quindi se si sente sei fregato. E’ però pure vero che spesso si parte da un frammento altrui per poi arrivare a qualcosa di radicalmente diverso. Facendo però bene attenzione: Bittersweet Symphony dei Verve, costruita su un campionamento dei Rolling Stones (però riconoscibilissimo, e presente costantemente), gli è costata il 100% dei diritti, benché in effetti la melodia sia diversa. Nel campo del software design il problema è addirittura spinoso: è possibile semplicemente copiare e incollare tre righe di codice, per esempio una soluzione elegante a un problema, in una propria applicazione. Peccato che magari quelle tre righe sono brevettate, e che per usarle si dovrebbe sborsare una cifra fissa, magari enorme.

Questo paradossale reticolo di divieti deriva da una mentalità arcaica, che fa riferimento a modelli antichi, nel caso della musica oltre un secolo. La natura del digitale suggerirebbe nuove regole e nuovi comportamenti, che già oggi esistono. Come il web design: grazie all’architettura libera della rete, è possibile prelevare qualsiasi elemento grafico (il cosiddetto codice html), personalizzarlo e riciclarlo a piacimento senza pagare. Mi piace qualcosa della grafica del sito della Nasa? Posso incollarla nel mio sito e sostituire le scritte. Poi, se divento bravo, qualcun altro si approprierà di una mia soluzione. Il mondo è pieno di web designer scadenti e disoccupati (con molte eccezioni), ma quelli bravi lavorano molto. E non si sognano nemmeno di mettere il copyright: si fanno pagare dal cliente, e basta. Il caso del Software Libero poi è esemplare: ognuno può scaricarlo, personalizzarlo e rivenderlo. Pare facile, ma al quinto passaggio si capisce che in realtà questi programmi sono creazioni collettive la cui potenza (e raffinatezza) si deve proprio alla libera circolazione. Quello che si paga è la personalizzazione, l’adattamento di un sistema standard alle proprie esigenze: verissimo oggi per le aziende, ma domani anche per noi utenti. In fondo Windows XP costa 500 euro; se le date a un guaglione che ne sa, quello vi installa Linux, ve lo personalizza di lusso, e all’occorrenza lo potete chiamare anche di sera tardi. Sta inoltre già nascendo una scuola di personalizzatori (per ora abusivi) dei software delle auto, una nicchia underground ma dalle potenzialità infinite.

Insomma il digitale suggerisce un nuovo e controverso modello di creatività applicata, in cui degli elementi pre-esistenti (con tanto di autore) possono diventare building blocks per delle nuove creazioni originali. Contemporaneamente, ma per una sua via autonoma, il Free Software suggerisce un sistema analogo, che prevede una creatività diffusa e una distribuzione dei ricavi coerentemente ripartita. Rendendo giustizia a un’idea ormai palese: tranne in rari casi non esiste un originatore unico e supremo. L’autore è solo un anello di una catena, spesso ben più lunga e interessante di lui.