La nonna immaginaria

C’è un aspetto della psiche italica che mi affascina molto: il fondamentalismo culinario. Premetto che sono un mangiatore piuttosto casuale ma capisco e rispetto chi considera il nutrirsi un’esperienza multi-sensoriale e quasi erotica. In generale l’italiano ha un atteggiamento conservatore quando si parla di cucina. Gli esempi sono infiniti, eccone due. Ciclicamente leggo, vedo e sento gente accanirsi contro chi mette nella Carbonara qualcosa che non sia il guanciale: pancetta? Al rogo. Prosciutto? Barbarie. Zucchine, come propongono diverse ricette vegetariane? Devi passare sul mio cadavere. Vuoi ottenere tante reazioni e commenti sui tuoi canali social? Basta pubblicare una foto della pizza all’ananas col commento “Buonissima!” Oggi in Italia, accanto alla cucina innovativa, all’ormai antica Nouvelle cuisine e alle varie proposte globali prospera l’offerta di autenticità locale, nella convinzione che, come per la musica, anche in cucina esistano delle versioni originali di certi piatti della tradizione, matrici sacre dalle quali discostarsi è eresia. Di conseguenza anche l’offerta si è polarizzata e accanto a chi innova c’è chi conserva meticolosamente le tradizioni, proponendo un’esperienza gastronomica il più fedele possibile a quella di sua nonna: cerca gli ingredienti originari, preserva antichi metodi di cottura e utilizza pentolame d’epoca per offrire ai suoi clienti un’esperienza “autentica”, “come quella di una volta”.

Ma com’era veramente la cucina di una volta? Era come ce la raccontano gli chef? Nella mia esperienza non mi pare. Molti piatti della nostra tradizione sono cibo di gente mediamente povera. L’esempio perfetto è la pasta: riempie, si conserva bene, si prepara facilmente e puoi condirla con qualsiasi cosa. Ripeto: qualsiasi cosa. O secondo voi in assenza dei Pomodorini Bubolotti DOP cucinavano altro? La polenta, pure di una tradizione poverissima, è perfetta proprio in quanto passe-partout alimentare: fa da pane, da prima colazione e da fondo per qualsiasi condimento dolce o salato. Le castagne costituivano il nutrimento base di moltissime popolazioni italiane per l’intero inverno. Perfino io so che nel (sublime) Castagnaccio ci vanno i pinoli, ma non credo che questi fossero un ingrediente essenziale, irrinunciabile nella dieta dei nostri nonni. La sapienza di chi cucinava (cioè le donne, contrariamente a quanto sembra succedere oggi) stava proprio nel remixare gli ingredienti sulla base della disponibilità, del reddito e della stagione per sfamare la famiglia con gusto e nutrimento: una cucina fluida quasi sempre basata sull’improvvisazione. Alla fine dell’800 tra i tentativi di fornire un’unità culturale alla neonata Italia c’è la creazione del concetto di “Gastronomia italiana” (il cui profeta fu Pellegrino Artusi), molte ricette tradizionali vengono formalizzate e, come nella musica, quei piatti si cristallizzano. Lo stesso è avvenuto con chi ha meticolosamente trascritto le “Ricette della Nonna” (oggi oggetto di lussuria anche da parte della pubblicità che la usa come esca per vendere certi prodotti). Queste nonne, qualcuna me la ricordo anch’io, cucinavano come Hendrix improvvisava. Alla domanda “Quanta cipolla/aglio/pomodoro/vino/rosmarino/guanciale ci vuole?” la risposta era sempre uguale: “Ti regoli, lo vedi, quanto ce ne va, una manciata, due pizzichi, un pochetto, a seconda”. Poi sono diventati 250 grammi per 4 persone. Un altro indizio di questa fluidità è la cucina Italo-Americana, simile alla nostra ma non identica. Gli Spaghetti al Sugo con Polpette nascono perché i poveri emigranti finalmente potevano permettersi la carne, e combinavano (con grande efficacia) due ricette tipiche della povertà: gli Spaghetti e le Polpette – che devono la loro sublime bontà proprio al fatto che la nonna ogni volta ci metteva quello che c’era, non 250 grammi di vitello e 40 di cipolle marsicane. Siamo solo noi o anche altri popoli sono talebani alimentari? Non saprei. Però penso sempre con affetto al Giappone, descritto come molto tradizionalista e il cui cibo, come il nostro, oggi è ovunque. Non solo hanno sopportato con buonumore le varianti occidentali del sushi come il California Maki con salmone e avocado, ma tra i loro prodotti preferiti ci sono gli Instant Noodles. L’Instant Carbonara esiste ma non mi pare sia nella top ten dei nostri consumi.

Quindi oggi in Italia abbiamo due scuole di cucina, forse contrapposte. C’è chi sperimenta, innova, osa, spesso inventando combinazioni stupefacenti ma, come accade a chi esplora, talvolta con risultati problematici, e le cover band della nonna: ingredienti immutabili, narrative idilliache e arredamenti neo-contadini nel tentativo di preservare identico il passato. O meglio una versione del passato, uno dei mille modi possibili per condire i Grilletti Smanacciati, tipica pasta medievale del Frosinate, che – grazie al benessere e al fondamentalismo passatista – oggi è diventato l’unico.

2 thoughts on “La nonna immaginaria

  1. Infatti, come insegna il podcast “DOI: Denominazione di Origine Inventata” gran parte della tradizione italiana ha a malapena 70 anni, quando va bene.
    Tant’è che non esiste la carbonara nel ricettario di Artusi. La primissima attestazione della carbonara (con questo nome) risale a metà anni ’50, non c’è menzione del guanciale ma era presente l’aglio.
    Mister 3 stelle Michelin Gualtiero Marchesi, mammasantissima, nella sua ricetta della carbonara metteva più panna che uovo. Sarebbe come per un cattolico sentirsi infamati personalmente dal Papa.
    L’invenzione della carbonara la dobbiamo probabilmente alla Razione K, contenente strisce di bacon e uovo liofilizzato, dei militari americani di stanza in sud Italia.

    Ne approfitto per ringraziarti. Ti seguo dall’Aprile del 2000, la tua rubrica su Rumore era la mia preferita in assoluto. Quando ho smesso di comprarlo ho continuato a seguirti sul web e mi spiace che il tuo blog sia fermo ad Agosto ’24. Ogni volta che clicco sul segnalibro di Fosforo spero sempre di trovare un aggiornamento, un nuovo articolo al posto di Tratti Somari.
    Non so se hai bisogno di sostegno morale, di adulazione, di tempo libero, di sollievo fisico, di pace mentale. Per conto mio sentivo di doverti fare i complimenti che per un motivo o per un altro ho sempre rimandato. Uno di questi motivi era non sentirmi all’altezza dei tuoi pensieri, un talento che ti invidio tanto.
    In effetti, ora che ci penso, una volta ci avevo provato… se guardi da qualche parte nelle email, ti sarà pervenuto un commento con incipit “Gentile Sergio”. Andando a capo l’ho inviato senza volerlo, e mi sono vergognato immediatamente. Credo fosse proprio in risposta all’articolo “lettori AT sergiomessina.com”, di ormai 3 anni fa.
    Ti mando un saluto e un abbraccio, di nuovo grazie per questo quarto di secolo.

    1. Mille grazie delle gentilezze, a volte tra il vento contrario e la maretta la navigazione è più difficile. Mi fa molto piacere sapere che i miei pensieri atterrino da qualche parte.

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