Politica

Mi scrive Andrea a proposito del mini sul Comunismo uscito ad ottobre: “Premetto che non è mia abitudine scrivere ai giornali e tantomento ai giornalisti; non me nè fregato mai poko + dun katzo di sbattermi per rispondere ad un giornalista ke diceva delle cazzate”. E prosegue: “Vedi, il tuo articolo, di primo acchito mi ha fatto incazzare e non poco: ma come, ma che cazzo centra il comunismo con Rumore… (…) æCerca di capirmi Sergio, non penso che tu sia uno stronzo, e non penso che tu scrivaædelle totali cazzate, te lo dico per non creare equivoci, però mi devi veramente dire, e me lo deve dire anke il redattore di Rumore, che cazzo centra il tuo articolo con quello che un cliente vuole leggere su una rivista (…). æUn conto è dissertare su quanto sono gonfi i Limp Bizkit e quanto sono profondi invece i Mercury Rev, un conto è parlare di politika…” Culminando con: “Ma cosa cazzo me ne deve fregare di Berluskone Kossiga quel ****one di Kossutta, quel plasticone di Rutello, quel pretino di Casini, Quel lec****uli di Buttiglione quando mi leggo il mio giornale preferito!” Opinione assai rispettabile, quella di Andrea, che merita uno spazio e, ho pensato, anche un piccolo approfondimento (anche se il mio articolo sul Comunismo diceva tutt’altro).

E’ abbastanza evidente che a voi della politica interessa poco, e devo dire che interessa pochissimo anche me, se non come inesauribile bestiario; per politica intendo quella bagarre di bifolchi di cui si parla sui giornali e in televisione, quella cosa rutella e berluscona fatta di strilli, di proclami e aria ripiena di niente. Ha stufato, credo, e le percentuali di votanti in caduta libera dicono che questa sensazione non si limita a me o a voi. Ho però sempre pensato, fino quasi all’autolesionismo, che l’essere persone politiche non consistesse nello stare da una parte o dall’altra, ma di capire in che modo il semplice fatto di fare delle scelte potesse essere, tra l’altro, una questione politica.

E non mi riferisco ne’ alla politica montecitoria ne’ al volontariato, ambedue attività decorosissime ma fuori dai miei orizzonti. No, parlo della vita: fare la spesa, fare sesso, lavorare, uscire la sera e perfino ascoltare musica. Niente sinistra o destra; sto parlando di consapevolezza.

Un buon indizio sono le statistiche: viviamo in un mondo fatto di numeri che dicono la verità; a loro modo ma è sempre la verità. Se dopo una campagna pubblicitaria a base di belle macchine e fighe in tanga le vendite di una birra aumentano del 70%, questo vuol dire che l’accoppiata birra, auto di lusso e fighe piace. Siccome a me invece mi fa schifo cerco, per quanto posso, di non comperare quella birra per non alimentare il circolo tanga-bellemacchine-birra. Cerco anzi di individuare negli spot cose schifose, per poi ricordarmi di associarle ai prodotti (ma io sono un malato…). Idem in positivo: se domani la birra senza réclame dovesse vendere più di quella auto-fighe, credo che sarebbe l’indizio di un mondo migliore; o no?

E adesso , caro Andrea, parliamo di musica: compri i dischi? Dove? Perché se li prendi al megastore significa una cosa, mentre se li comperi nel negozio piccolo e specializzato ne significa tutta un’altra. Te li masterizzi? Li compri su internet? Li rubi? Li ascolti per telefono? Altre statistiche, altre scelte – tutte politiche. E Rumore è pieno di queste scelte, per fortuna (non quanto potrebbe, ma abbastanza) e mi sa che è pure per questo che ti piace: ci sono i Massimo Volume, Chef Ragoo e i Mercury Rev, invece che Pelù o i Litfiba (che invece puoi trovare su Topolino). Ci trovi storie di piccole minoranze musicali, fenomeni marginali, locali, magari minuscoli ma significativi e non la solita pappardella riscaldata (magari più popolare e remunerativa) che passa il Roxy Bar. Questa si chiama “politica del giornale” ed è una cosa molto importante, per noi e credo anche per te. Altro ke Kossutta… Fine del buonsenso: del prossimo numero ridivento la bestia di sempre.

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