La Musicologia è una scienza meravigliosa ma ha un difetto terribile: è tradizionalmente praticata da esperti tecnicamente competenti e culturalmente preparati, esattamente come nella tradizione scientifica contemporanea. Insomma i musicologi sono una casta di scienziati, come i fisici o i matematici. Ma non è sempre stato così. Storicamente sono sempre esistite due forme distinte di approccio alla scienza, spesso in conflitto tra loro (specie una verso l’altra). Da un lato c’è lo scienziato come lo conosciamo oggi: preparato, obiettivo e invisibile, nel senso che osserva i fenomeni del mondo come se lui non esistesse. Dall’altro lato c’è la fiera delle meraviglie, e spesso degli orrori o comunque delle stranezze. E’ il modello del Circo Barnum, pieno di “fenomeni della natura”, oggi interpretato – sebbene con qualche reticenza – dal canale TV Animal Planet. Naturalmente non solo esistono molti casi di approccio duplice, come le incredibili cere anatomiche del Museo della Specola a Firenze o la mostra Bodyworlds, curata dal controverso anatomo-patologo Gustav Von Hagens, ma perfino il cauto ma talvolta aspro Piero Angela interpreta la questione in modo ambiguo, e dunque interessante. E se da un lato difende la presunta neutralità della scienza, dall’altro spesso ci mostra la stranezza.
In passato esistevano moltissimi dilettanti della scienza; amatori che costruivano teorie appoggiandosi allo strumento principale che la scienza ha avuto per millenni: l’osservazione dei fenomeni. L’ambiguità del termine mi sembra appropriata: un conto è osservare il modo in cui si evolvono le nuvole, un altro è vedere una donna barbuta. Ma in ambedue i casi si acquisisce una conoscenza sensibile del mondo, che sarà pure non scientifica ma secondo me è altrettanto importante. Poi so che un esperto di meccanica dei fluidi saprà spiegarsi molte cose sulle forme delle nuvole anche senza averne mai vista una; ma io “so”, e so perché i miei sensi hanno percepito quella meccanica, che non saprei spiegare a parole, ma che il mio corpo (e la mia mente) conosce. Quindi potremmo dire che se lo scienziato ha (perlopiù, ci sono molte eccezioni) una conoscenza razionale dei fenomeni, il dilettante ha una sapienza sensuale, data dall’osservazione e dall’esperienza (sia nel senso di aver avuto quell’esperienza che di averne accumulata).
Ecco, io penso che, come è spesso successo in passato ad altre scienze (come la botanica o l’anatomia), oggi la musicologia abbia bisogno degli artisti, proprio per mettere in moto questo processo. I musicologi (mi perdonino le rare eccezioni, alcune delle quali leggono questa rivista) sono davvero gente troppo seria e tecnicista, oppure nerd delle note che fanno battute su Buxtehude. Persone che potrebbero discutere per ore (e spesso lo fanno) su otto battute di Beethoven scritte su un foglio, ma che hanno perso qualsiasi gusto per la divulgazione, che non sia far sentire musica romantica nelle scuole elementari (un ottimo sistema per far vendere più dischi a Bugo) o fare battute su Buxtehude nelle conferenze. Persone nella migliore delle ipotesi eccezionalmente preparate, colte e tecnicamente sofisticate ma poco propense alla sensualità (fatte salve alcune notevoli eccezioni). Invece credo che la musica si meriti anche un approccio diverso, e ci sono alcuni piccoli segnali in questa direzione. Ne cito uno tra tanti: l’album di Carl Craig e Moritz Von Oswald ReComposed, costruito ricomponendo frammenti del Bolero di Ravel. Anch’io mi sto muovendo in quest’area: esperimenti di ascolto estremo per comprendere coi sensi la meravigliosa meccanica dei fluidi musicali. Poi qualcuno ci spiegherà anche come mai ci piace, ma ne frattempo salviamo la musicologia dall’orda dei nerd. Lo strumento più potente è ovviamente il computer, quindi sotto: Monteverdi non aspetta altro che di essere fatto a fettine, ricomposto e molto altro.