Case disperate

Una delle molte intimità che tutti possediamo è quella domestica; e, proprio come con le altre nostre intimità, il rapporto è complesso. Innanzitutto è il nostro spazio, è molti provano una tensione quasi atavica nel difenderlo. Ma soprattutto è una rappresentazione di noi stessi, che molti vorrebbero sempre perfetta o comunque adeguata. Esiste un disturbo compulsivo specifico che riguarda il mettere a posto la casa, disporre i mobili, i quadri, le foto e gli ammennicoli, ed è una sindrome piuttosto diffusa. Naturalmente poi c’è tutto il tema della rappresentanza di certi ambienti, spesso più una rappresentazione, dove il carattere dell’abitante viene dispiegato a 360°: dai libri alle tecnologie, dall’antiquariato fino a certi salottoni brianzoli astronautici. Quindi per molte persone (incluso il sottoscritto) la violazione dell’intimità consiste anche nel rendere pubbliche le zone più private della casa; anzi, personalmente ho molto meno pudore del mio corpo nudo che di certe fasi del mio disordine, che per niente al mondo mostrerei in pubblico: e so di non essere il solo.

La pornografia, si sa, mostra quello che abitualmente viene nascosto, e il Realcore (il porno digitale autoprodotto e scambiato gratuitamente in rete) non sfugge a questa regola. Ma il porno casalingo, a differenza di quello industriale, ha appunto nella casa il suo set naturale, col risultato che tra i moltissimi sensi del pudore che vengono infranti (la cellulite, gli occhiali da vista, i calzini, ecc.) c’è anche quello domestico. Si sarebbe quindi portati a pensare che i filmini casalinghi vengano realizzati negli ambienti pubblici della casa, nel soggiorno o alla peggio in camere da letto pulite e in ordine. Questo però è vero sono per una minuscola percentuale delle immagini quotidianamente scambiate in rete (diverse centinaia di migliaia). No, il Realcore è assolutamente privo di pudore, meno che mai del ritegno casalingo, e mostra quello che pochissimi di noi avrebbero le palle di far vedere: matasse di polvere sotto i letti, pile di biancheria sporca, portacenere stracolmi, armadi strabordanti nei quali si intravede il caos primordiale, lattine vuote, ciarpame ovunque – senza vergogna. Il set è spesso un sottoscala, la cucina (col lavandino rigorosamente pieno di piatti sporchi) o il garage, mai nemmeno sommariamente rassettato per l’occasione. I prop utilizzati ovviamente sono oggetti reperiti all’istante: tavole da stiro, bombole del gas, biciclette, lavatrici e gli onnipresenti scatoloni. Questo mi ha molto confortato: apparentemente ci sono milioni di case nel mondo dove gli scatoloni fanno da mobilio, non solo nella mia.

Tradizionalmente la pornografia amatoriale era un affare da ricchi borghesi annoiati col pallino della fotografia e tempo da perdere. Guardando queste immagini invece, l’impressione è di minuscola borghesia (con alcune punte di indigenza e altri di opulenza anche esibita), di casette ultra-normali abitate da gente che lavora. Un’altra prova del processo di digital empowerment che sta avvenendo e che tocca strati sociali molto diversi. Inoltre, dato che le foto sono sempre inquadrate molto larghe (e spesso pubblicate a alta risoluzione), si genera una forma di porno nel porno, dove il centro dell’immagine è sommerso dagli stupefacenti dettagli, e la disposizione dei soprammobili sul comò, la polvere sui mobili o il cesto del bucato mi sembrano tanto spudorati quanto l’azione ritratta – anzi, forse di più.

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