Gratis

Ci sono parole ed espressioni che, come i pantaloni, in certi periodi vanno più o meno di moda. Penso per esempio ad “Esondazione”, “Tolleranza zero” e “Interattivo”, termini usati più o meno a sproposito (definire “esondazione” la diffusione del Grande Fratello è sciocco, esattamente come definire la televisione un media “interattivo” perché dotato di telecomando). Nell’esplosione commerciale che caratterizza questa zona di passaggio tra due millenni (a proposito: benvenuti nel primo anno del terzo) una delle parole più abusate, violentate ed infine lasciate tramortite sul pavimento è “Gratisî, non a caso un temine attraente, univoco (non “bello” o “comodo”, ma “gratis”) e, almeno fin’ora, apparentemente amico.

Tutto nasce con un innocuo buono sconto che ti veniva recapitato a casa: “Con questo buono otterrà uno sconto del 30% sull’acquisto di una confezione da 10 litri di latte di cammella”. Lo scopo era chiaro: reclamizzare il latte di cammella, venderne qualche confezione da 10 litri in più e cercare di acquisire nuovi clienti. Poi sono arrivati i 3X2, e con loro è iniziata la confusione: “Se compri due barattoli di ravanelli pelati fritti, la terza è gratis!” Un’affermazione quantomeno discutibile. Riflettendoci sopra un pochino appare infatti subito chiaro che non è così: se fosse davvero gratis basterebbe andarsela a prendere al negozio (e perfino questa sarebbe una promozione). Così invece si ha solo uno sconto del 33,3% sull’acquisto di 3 confezioni (che uno invece magari ne avrebbe comperata una e basta), che non è male ma certo nemmeno gratis. D’altronde si sa: il commercio è fatto anche di bugie (la prova? Chiedete al salumiere se la sua mozzarella è fresca: vi dirà di sì anche se già profuma di gorgonzola).

Poco tempo dopo un altra trovata si affacciava nelle case degli italiani: i punti. Negli anni ’60/70 erano un classico: coi punti dei formaggini si avevano dei “regali”: mucche gonfiabili, pupazzi vari, etc. Roba sostanzialmente innocua, in un’era in cui il marketing era ancora ai primordi. Col Mulino Bianco cambia tutto. Tu raccogli i punti pensando di avere un regalo, e invece ti tramutano in un uomo sandwich: tovagliette, portapane, giocattoli vari (immortale il Mulino Bianco di plastica) tutti vistosamente marchiati “Mulino Bianco” e reclamizzati a parte (cosa che avviene tutt’ora: spot che reclamizzano i “regali” e non i prodotti) così mentre mangi o giochi vieni convinto a consumare di più. E questo sarebbe un “regalo”? Se un “amico” mi facesse un “regalo” del genere, non potrei che considerarlo infido e ostile, no?

Poi negli anni ’90 è cambiato qualcosa. Ci si è resi conto che “regalare” servizi (imbottiti di pubblicità) funzionava. L’ho già scritto altre volte ma resta vero che la televisione commerciale non ci chiede soldi, e non se ne vanta nemmeno. Sappiamo tutti come funziona: guardiamo gli spot e questo nostro guardare paga il film. Quindi NON è gratis, come non lo sono “Internet gratis”, “un pratico marsupio in omaggio” o “in regalo il primo volume dell’Enciclopedia Universale in 190 cd-rom”.

Che vi piaccia o meno (molte persone ancora si accapigliano se qualcuno dice “gratis”), mi pare che questo fenomeno non possa che intensificarsi. Allo Smau decine di ditte gridavano: “Compila il questionario e ricevi gratis una maglietta!!!”. Cosa? Incamerano tutti i tuoi dati personali (con autorizzazione all’invio di reclame), inclusi i tuoi gusti e il tuo reddito, tutta roba che ha un certo valore per il loro marketing (e che possono sempre rivendersi), e in cambio (o meglio “gratis”) ti danno una maglietta di merda, troppo lunga, verde pisello, col marchio della ditta davanti e dietro così grosso che ti fa schifo perfino dormirci dentro? Aziende: se volete farci un regalo diteci: “Compila il questionario e ricevi in cambio una cifra X in lire italiane (la somma del reale valore sul mercato dei tuoi dati, della maglietta e del tuo indossarla in pubblico, più iva), per comprarci quello che ti pare”.

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