Gente senza età

L’esperienza dell’invecchiamento è davvero assai notevole, e se non fosse per il corpo (che inevitabilmente si deteriora) sarebbe davvero fantastica. Non solo, ma nel mio caso la questione ha dei risvolti curiosi: per esempio, col tempo sono diventato più ardito, meno cauto. Prima pensavo che delle mie idee importasse solo a un ristretto gruppo di persone, mentre oggi me ne frego molto di più, e vado fin dove posso. Perfino nei rapporti con l’altro sesso le cose sono migliorate, e oggi capisco le donne assai meglio di tanto tempo fa. Questo mio apprezzare la stagionatura umana vissuta in prima persona (essendo sempre stato uno con amici assai più grandi di lui), mi fa sembrare assurdo il giovanilismo imperante in molte zone, anche insospettabili.

Il dato di partenza è ovvio, perfino noioso a ripetersi: solo una generazione fa gli anziani erano le vere star delle famiglie, mentre oggi perfino attempati uomini di stato si tingono i capelli per sembrare più giovani. Mentre una volta alla parola vecchio si associava saggio, oggi si aggiunge rincoglionito. Mentre solo pochi anni fa il mondo era popolato di graziosi vecchietti sapienti e bianchi, oggi sulla scena pubblica contemporanea italiana ci sono rimasti solo Santi Licheri e Giorgio Napolitano. Tutti gli altri, solo di poco più giovani, fanno i salti mortali per sembrare i loro nipoti. Con l’evidente risultato (almeno per me) di sembrare dei giovani mostruosi, con le mani macchiate da vecchiazze e la ricrescita sempre in agguato (il vero nemico di Ignazio La Russa, che dovrebbe fondare un Ministero della Difesa dalla Ricrescita). Non paiono augusti signori, quali sarebbero secondo la data di nascita, ma prugne stagionate e ripompate con gli steroidi. Questo è terrificante, specie per chi come me ha sempre apprezzato i segni dell’invecchiamento negli altri: come mai i capelli bianchi hanno così tanti nemici? Che gli hanno fatto di così brutto?

Qualche tempo fa ho conosciuto il chitarrista di una notissima band di culto della scena industrial anni ’80, il quale si tinge capelli e pizzetto di un rossiccio nerastro davvero maldestro. Entrati in maggiore intimità gli ho fatto il domandone: ma chi te lo fa fare? E lui, secco: “I wouldn’t do it, but music is such a youth oriented business (Io non lo farei, ma il music business è così virato verso la gioventù)”. E questo ci porta a un altro tema curioso: la divisione tra generazioni nella cultura Pop. Io lo so che esiste, e che per mille motivi ci si trova meglio tra persone della stessa età (tranne me che li detesto, ma questo è un altro articolo). Però poi quando questa separazione generazionale è forzata, allora ne vedo tutti i limiti. Come nei programmi giovanilisti stile Scalo 76, condotto da giovani per i giovani, con musiche di giovani (che tanto i matusa non capiscono) e servizi che interessano ai giovani – di solito riguardanti altri giovani. Questa filosofia permea anche gran parte della programmazione di Mtv e All Music; se c’è uno più vecchio, di solito parla al passato e tutti lo ascoltano, rispettosi del suo ardito vecchiettismo, trattandolo come un sopravvissuto. Ma il presente, e il futuro, sono evidentemente dei giovani (salvo poi a lasciarli marcire senza lavoro fino a 40 anni, o non dargli alcuna voce in capitolo – come accade qui da noi).

Sono ambedue modelli folli, sbagliati e insostenibili. Frutto di uno stesso equivoco assurdo, a pensarci bene: che la gioventù sia spensierata e beata. Siccome però, come sa benissimo chi è giovane (e chi ha buona memoria), invece è un’età terribile, ardua e penosa – oltre che bella, facile e stupefacente – forse faremmo bene a smetterla. Smettere di sembrare dei satanisti juventini, come accage a Ignazio con la barba bianconera; smettere di riempire i prodotti culturali per giovani di gente che lo è, o lo sembra. Smettere di pensare “So’ ragazzi”. Insomma smettere di considerare l’età della gente come un dato rilevante: per fortuna, molto spesso, proprio non lo è.

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