Una delle vocazioni della musica è la Ricerca, altrimenti detta Sperimentazione. Tant’è che è diventato un genere, dentro il quale si trova di tutto. Si potrebbe dire che ogni musica non immediatamente classificabile, specie se elettronica, finisca dentro la scatola della Ricerca & Sperimentazione. Alcune arti, come il cinema, il teatro e la musica hanno una consolidata tradizione di R&S. In certi casi la definizione è molto appropriata. Esistono repertori interi di musicisti (cineasti, autori teatrali) che hanno speso la propria vita a sperimentare, a ricercare. Penso a gente come Cage o Carmelo Bene, per i quali la ricerca era il senso del loro pensare e fare. Ma si tratta di rare eccezioni.
Ricerca e Sperimentazione, termini di chiara provenienza scientifica: evocano signori in camice bianco con gli occhiali, preferibilmente di una certa età, che ricercano e quindi sperimentano nuovi ritrovati e tecnologie destinate al bene dell’umanità. Gente che cerca, e poi fortunatamente trova. Questo, in certi casi, è stato vero anche nella musica (e nel teatro, o nel cinema). Anzi, in molti casi soluzioni considerate arditissime (e sperimentalissime) all’inizio, sono poi entrate nel lessico comune. Ma in questi casi si tratta quasi sempre di sperimentazioni applicate a generi (come il Dub per il Reggae, o l’Impressionismo nella pittura figurativa) e non di ricerca pura (come certe cose elettroniche di Stockhausen). Infatti sia il Dub che l’Impressionismo sono diffusissimi, mentre Kontakte (opera strabiliante di Stockhausen del 1960, per pianoforte, percussioni e nastro magnetico) resta ancora oggi “Sperimentale”.
Così, all’alba del terzo millennio, la situazione di R&S nelle arti, e in particolare nella musica, si è un po’ cristallizzata. Da un lato ci sono quelli che si autodefiniscono sperimentali, che di solito sono noiosissimi. Non mi pare che ricerchino niente: si limitano a riprodurre i suoni della sperimentazione storica, con l’idea che meno si capisce più è arte. Queste persone secondo me sono dannosissime: convincono il grande pubblico che R&S siano sinonimo di noia incontenibile, mancanza di progetto e incapacità di produrre cose sensate. La loro musica è cupa e minacciosa, angolosa e inascoltabile, e spesso è accompagnata da note di copertina altrettanto insensate. In Italia di questi ne abbiamo un certo numero, equamente divisi tra teatro, video e musica. Tremendi da soli, mortali se in combination.
Poi invece, grazie al cielo, ci sono altri sperimentatori, che però non ricercano in generale ma lo fanno all’interno di generi, e non si definirebbero mai sperimentali. Hendrix, Tarantino, Magritte, Miles Davis, i Beatles e Borges appartengono a questa categoria. Di alcuni è possibile cogliere esattamente il giorno, l’attimo in cui il loro ricercare ha avuto il suo naturale esito, e cioè il trovare. Eh già, perché questi ricercatori poi effettivamente trovano qualcosa, i loro esperimenti danno degli esiti; a volte si tratta di risultati destinati a rimanere isolati benché riusciti, come Revolution 9 dei Beatles. Altre volte invece quelle che si trovano sono soluzioni, tecniche ed estetiche, destinate a influenzare molte persone (e quindi in fondo a fare del bene all’umanità, esattamente come il ricercare di Pasteur o di Madame Curie): penso spesso alla faccia che devono aver fatto i Pink Floyd alla fine delle registrazioni di Ummagumma, o a quella di Hendrix mentre riascoltava Electric Ladyland.
Insomma: c’è chi cerca per amore del cercare, e quando trova poi cerca altro. C’è poi chi lo fa per progredire, e trova soluzioni tecniche e nuovi suoni anche a beneficio di tutti noi. Infine ci sono quelli che lo fanno perché fa figo, perché non ci sono regole e quindi vale tutto. Per questi ultimi avrei perfino una soluzione: lavori forzati per nulla sperimentali, tipo spaccare le pietre o scrivere minuetti in do maggiore.