Andante con Groove

La nostra scrittura musicale è adatta quasi solo a scrivere la nostra musica occidentale. I molti tentativi di applicarla ad altre ne hanno rivelato i limiti. D’altronde l’alfabeto italiano non comprende le vocali barrate delle lingue Scandinave; quei suoni non ci servono, quindi non abbiamo segni equivalenti. Nella Musica indiana ci sono note che noi non usiamo, essenziali per quella tradizione ma assenti dalla nostra. Va detto che il pentagramma ha retto bene a molte forzature, come il Jazz o la Musica contemporanea, e si è adattato in maniera encomiabile al passaggio del tempo: alla Siae resta tuttora la sola lingua nota, non essendo ammesso (tranne in rare e imprevedibili occasioni) il deposito di suoni registrati.

Ma da qualche anno ormai questo sistema è entrato in crisi; la musica è cambiata e il pentagramma non gliela fa più. Un esempio per tutti: da anni l’elemento cardine di tutta la Musica pop elettronica è il Beat, l’amalgama di ritmica e altri suoni che ne costituisce l’incedere, l’anda (come dicono a Milano). Si può trascrivere un Beat? Non proprio. Nella Musica classica infatti il ritmo è l’ultimo degli elementi, essendo il primo la melodia. Ma nel Rap la melodia non c’è quasi mai, e l’elemento di originalità di un brano (quello su cui si fanno le cause per plagio) è proprio il Beat. Ma oltre al problema della Siae, ce ne sono altri più interessanti. Una musica che non si trascrive, che sfugge alle categorie note, può essere analizzata? Quali regole si applicano alla musicologia del pop contemporaneo? Qual è l’equivalente di Allegro con brio nella Dance? Esiste il virtuosismo in una musica senza melodia, senza assoli e spesso perfino senza esecutori?

La risposta, fortunatamente, è si: esistono virtuosi, categorie e termini che descrivono le strutture di questa musica. Solo che sono nuovi e non ancora formalizzati. Ma ci sono, e funzionano benissimo. Per esempio l’espressione Seduto, Musica seduta. Nel Pop moderno, indica un lieve ritardo in certi elementi della ritmica, tra cui il basso, in relazione alle altre parti; questo trasmette una sensazione di sfasamento molto apprezzata da chi balla. Un altra cosa importante è il Groove, termine assai ambiguo. Da un lato indica la bontà dell’incastro dei vari elementi di un beat (quindi si può dire che un Beat abbia molto Groove), e dall’altro indica l’elemento base, il nucleo di qualsiasi pezzo dance; quell’elemento che – ripetuto un numero sufficiente di volte – diventa un brano. Una delle categorie più belle è il Drop, il Buco e, come dicono in Campania, il Capatone. Una delle caratteristiche di queste musiche è l’alternanza tra il pieno e il vuoto, la dinamica tra l’aggiungere (strati, suoni, ritmi) e il togliere, lasciando solo quei pochissimi elementi necessari a ballare. L’arrivo del vuoto, dopo il pieno, si chiama Drop: va via la cassa, il groove si svuota e tutto è sospeso. Siamo nel Buco, una zona neutra dove molto può accadere. La durata del Buco dipende dalla maestria del musicista; più è lungo, estenuante e variegato, più si va asciugando mentre procede, e più grande sarà il Capatone (la grande testata in napoletano), cioè il momento in cui rientra tutta la ritmica e in cui, di solito, in discoteca la gente grida.

Sono alcuni esempi di un linguaggio che in certi ambienti ha sostituito le biscrome, e che prima o poi qualcuno certamente formalizzerà. Già l’uso di certi software sta creando ambienti comuni dove anche il linguaggio si rinnova. Quindi, forse, non riconosceremo il prossimo Mozart dalla bontà delle sue cadenze o dalla sublime arte delle sue fughe, ma dalla velenosa inesorabilità dei suoi Groove, dalla genialità dei suoi Drop e dall’intensità del Capatone conseguente.

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