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Pinotto Fava

Posted on December 2, 2025December 2, 2025 by SM

(english version below)

Giovedì scorso se n’è andato Pinotto Fava, una persona a cui ero estremamente legato per motivi personali e professionali. La sua famiglia ha suggerito che io parlassi al suo funerale, probabilmente una scelta sensata: conoscevo bene Pinotto e forse a lui avrebbe fatto piacere. Però io quella mattina ero molto emozionato, pieno di tristezza e dubbi sul tono (volendo evitare il mio solito show “professionale”) e il linguaggio (i superlativi sono sempre difficili), e il risultato mi è sembrato molto al di sotto del soggetto. Ecco cosa avrei dovuto dire.

Ho conosciuto Pinotto Fava a 25 anni, quasi esattamente quelli che ci separavano. Avendo molto amato la radio fin da ragazzo, incontrarlo, presentato da Armando Adolgiso (altra persona importante per entrambi) fu emozionante. Loro erano quelli de I pensieri di King Kong e poi Fonosfera, due programmi seminali nella storia della Radioarte in Italia; Pinotto era la mente dietro AudioBox, che ogni sera alla radio apriva una finestra sui molti modi possibili di fare arte attraverso l’etere. Io avevo fatto radio già da diversi anni e stavo proprio esplorando nuove soluzioni radiofoniche (coi miei poveri mezzi tecnologici): ero nel posto giusto. Certo, avrei potuto proporgli di realizzare un programma ma lui fu più svelto e immensamente più lungimirante: mi chiese di diventare suo collaboratore. Ho lavorato ad AudioBox per cinque anni complicati e meravigliosi, culminati con un’impresa epica e indimenticabile: l’organizzazione del Festival AudioBox a Matera nel 1990.

Pinotto era un individuo unico che conteneva mondi e sapeva assorbirne altri molto rapidamente. Coltissimo (senza alcuna ostentazione) e curiosissimo, in AudioBox proponeva una tavolozza infinita di programmi che sfidavano l’idea convenzionale dei linguaggi radiofonici, realizzati da attori, registi, musicisti e sound designer ma anche architetti, pittori, danzatori e una volta perfino un mimo, contrattualizzato per una performance dal vivo in diretta radiofonica (con colonna sonora, ovviamente) che fu oggetto di mille commenti alla Rai: “Un mimo alla radio?” Ecco: non solo per Pinotto non c’era niente di strano, ma rientrava perfettamente nella sua “poetica editoriale”: paradossi, incontri-scontri, cortocircuiti, la dinamica tra alto e basso e qualsiasi altra forma di collisione culturale. Pinotto veniva dal teatro, non a caso una delle forme che più si è prestata alla ricerca e alla sperimentazione. Queste sono due parole chiave sulle quali abbiamo avuto conversazioni interminabili (sì, Pinotto era assai verboso ma pure io non scherzo). Le definizioni di Radiofonia Sperimentale e di Ricerca Radiofonica non solo suonavano meglio di Radioarte ma si prestavano a interpretazioni infinite, includendo non solo gli artisti ma potenzialmente chiunque. Inoltre queste definizioni contenevano due caratteristiche che a Pinotto sembravano molto importanti e che per me da quel giorno sono diventate Vangelo: di un esperimento non si conosce prima l’esito. Una ricerca, se è davvero tale, a volte non da risultati: non si trova quello che si cercava o magari si trova qualcos’altro. Parole sante.

Pinotto era un connettore straordinario. Connetteva persone anche diversissime, artisti (e non) con mezzi di produzione e possibilità realizzative, mondi lontanissimi (come Matera e la radio di ricerca), l’underground con l’overground, la cultura di strada con l’European Broadcasting Union, all’interno del quale nacque il gruppo Ars Acustica che coordina programmi radiofonici sperimentali di radio nazionali europee. Il festival di Matera fu uno degli eventi più memorabili della storia della Radioarte, e non lo dico io. Negli anni successivi ho avuto modo di collaborare con diversi programmi di ricerca di radio europee, e ogni volta mi sono sentito chiedere di Pinotto e del Festival da persone che avrebbero voluto esserci o che ne avevano sentito parlare. Aggiungerei che per diversi curatori internazionali quel Festival è stato di ispirazione per il proprio lavoro futuro. Purtroppo la Rai non seppe cogliere quell’opportunità, e il Festival si è fermato alla prima edizione. Anche AudioBox dopo qualche anno fu dismesso, complice anche l’andata in pensione di Pinotto. In parte lo spirito continua in Battiti, programma di RadioTre animato da persone affini per estrazione culturale e sensibilità sonica. L’altra sera è andato in onda un tributo a Pinotto contenente una bellissima intervista: è su RaiPlay.

Di Pinotto mi mancheranno le parentesi, le subordinate, gli scarti del discorso, i pensieri sospesi e l’amore per le contraddizioni concettuali. Parlare con Pinotto (o in molti casi ascoltarlo) era come fare un rally senza mappa, non sapevi mai che c’era dietro una curva, a quale concetto si sarebbe arrivati, e il suo parlare a matrioska non aiutava. Capire Pinotto richiedeva una curva di apprendimento: come per i quadri impressionisti (altra buona metafora) il suo linguaggio andava guardato da lontano, dall’alto. Però poi ogni volta dentro la matrioska ci trovavi una bella sorpresa, un concetto illuminante, una soluzione straordinaria, un minimondo. Qualcuno non lo capiva, e non sa che si è perso.

Tra le mille cose che ho imparato da lui c’è navigare con la barra dritta in un ambiente ostile, nel suo caso la Rai, mantenendo viva la creatività e l’immaginazione malgrado la situazione ambientale che lui pativa ma che non gli impediva di volare altissimo. Senza però mai ignorare il contesto: una volta gli dissi che una certa produzione che avremmo dovuto fare con AudioBox non mi sembrava particolarmente interessante. Lui mi guardò serio da sopra gli occhiali e mi disse: “Noi siamo il servizio pubblico”. Negli anni ho avuto il privilegio di diventargli amico, un’amicizia vera fatta di confidenze anche intime e di vicinanza affettuosa: quando è morta mia madre lui c’era e ha saputo starmi vicino come poche altre persone. Avevamo molto in comune, tra cui la sensazione di essere forme irregolari in un mondo di cerchi, quadrati e rettangoli, un forte collante intellettuale e affettivo.

Pinotto lascia un’eredità culturale non facilmente calcolabile. Il suo lavoro ha toccato a vario titolo moltissime persone: continuo a incontrare fan di AudioBox, ascoltatori fedeli qualcuno anche con un proprio archivio di registrazioni fatte dalla radio. La sua visione ha ispirato artisti e curatori dall’Europa all’America fino all’Australia. La sua vivacità culturale ha contagiato radio maker di estrazioni diversissime, connettendo avanguardie di almeno quattro generazioni diverse, da Artaud fino ai DJ. Se n’è andato a 90 anni circondato dall’affetto della sua bellissima famiglia, a casa sua. Mi lascia un vuoto (di quelli che non si riempiono) ma anche un pieno, molto più grosso: un “malloppo” (come avrebbe detto lui) che ha indirizzato una bella fetta della mia vita, sonora e non.

(Esistono pochissime immagini digitali di Pinotto, questa l’ho trovata online e, benché molto piccola, mi pare bella.)

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Last Thursday Pinotto Fava passed away, a man I was extremely close to for personal and professional reasons. His family suggested I speak at his funeral, probably a sensible choice: I knew Pinotto well, and perhaps he would have appreciated it. However, that morning I was very emotional, full of sadness and doubts about the tone (wanting to avoid my usual “professional” show) and language (superlatives are always difficult), and to me the result seems far below standard. Here’s what I should have said.

I met Pinotto Fava when I was 25, almost exactly the age that separated us. Having loved radio since I was a boy, meeting him, introduced by Armando Adolgiso (another important person for both of us), was very exciting. They were the guys behind I pensieri di King Kong and then Fonosfera, two seminal programs in the history of Radioart in Italy; Pinotto was the mind behind AudioBox, which every evening on the radio opened a window onto the many possible ways of making art through the airwaves. I had been working in radio for several years and was exploring new solutions (with my limited technological resources): I was in the right place. Of course, I could have suggested to create a program, but he was quicker and more farsighted: he asked me to work with him. I worked at AudioBox for five complicated and wonderful years, culminating in an epic and unforgettable undertaking: organising the AudioBox Festival in Matera in 1990.

Pinotto was a unique individual who contained worlds and knew how to absorb others very quickly. Highly cultured (without any ostentation) and inquisitive, at AudioBox he offered an infinite palette of programs that challenged the conventional idea of ​​radio languages, created by actors, directors, musicians, and sound designers, but also architects, painters, dancers, and once even a mime artist, contracted for a live performance on the radio (with a soundtrack, of course) that was the subject of a thousand comments on RAI: ​​”A mime on the radio?” Here it is: not only was there nothing strange about it for Pinotto, but it fit perfectly into his “editorial poetics”: paradoxes, encounters-clash, short circuits, the dynamic between high and low, and any other form of cultural collision. Pinotto came from the theater, not coincidentally one of the forms most suited to research and experimentation. These are two key words about which we had endless conversations (yes, Pinotto was very verbose, but I’m not joking either). The definitions of Experimental Radio and Radio Research not only sounded better than Radioart, but they lent themselves to infinite interpretations, including not only artists but potentially anyone. Furthermore, these definitions contained two characteristics that seemed very important to Pinotto and which for me from that day on have become gospel: the outcome of an experiment is never known in advance. Research, if it is truly such, sometimes yields no results: you don’t find what you were looking for, or perhaps you find something else. Wise words.

Pinotto was an extraordinary connector. He connected very diverse people, artists (and non-artists) with production tools and creative possibilities, worlds as far apart as Matera and research radio, the underground with the overground, street culture with the European Broadcasting Union: he was a cofounder of the Ars Acustica group, which coordinates experimental radio programs of european national radio stations. The Matera festival was one of the most memorable events in the history of Radio Art, and I’m not the only one saying that. In the years that followed, I had the opportunity to collaborate with various Radioart programs on European radio stations, and every time I was asked about Pinotto and the Festival by people who would have liked to be there or who had heard wonders about it. I would add that for several international curators, that Festival served as inspiration for their future work. Unfortunately, RAI failed to seize the opportunity, and the Festival ended after its first edition. AudioBox was also discontinued after a few years, partly due to Pinotto’s retirement. The spirit lives on in part in Battiti, a RadioTre program hosted by people with similar cultural backgrounds and sonic sensibilities. The other night, a tribute to Pinotto aired, featuring a beautiful interview (in italian).

I’ll miss Pinotto’s parentheses, subordinate clauses, lapses in discourse, his suspended thoughts, and his love of conceptual contradictions. Talking to Pinotto (or, in many cases, listening to him) was like rally racing without a map; you never knew what was around the bend, what concept you’d get to, and his Russian doll-like manner of speech didn’t help. Understanding Pinotto required a learning curve: like Impressionist paintings (another good metaphor), his language had to be viewed from afar, from above. But then, every time, inside the matryoshka doll you’d find a wonderful surprise, an illuminating concept, an extraordinary solution, a mini-world. Some people didn’t understand him, they don’t know they missed.

Among the thousand things I learned from him was navigating a hostile environment—in his case, RAI—with a steady hand, keeping creativity and imagination alive despite the environmental conditions, which didn’t stop him from flying high. But he never ignored the context: once I told him that a certain production we were supposed to do with AudioBox didn’t seem particularly stimulating. He looked at me seriously over his glasses and said, “We are the public service.” Over the years, I had the privilege of becoming his friend, a true friendship built on intimate confidences and affectionate closeness: when my mother died, he was there and he knew how to stay close to me like few others. We had much in common, including the feeling of being irregular shapes in a world of circles, squares, and rectangles: a strong intellectual and emotional bond.

Pinotto leaves behind a cultural legacy that is hard to quantify. His work has touched so many people in various ways: I continue to meet AudioBox fans, loyal listeners, some even with their own archives of radio recordings. His vision has inspired artists and curators from Europe to America to Australia. His cultural vibrancy has influenced radio creators from diverse backgrounds, connecting avant-gardes from at least four different generations, from Artaud to DJs. He passed away at the age of 90, surrounded by the love of his beautiful family, in his home. It leaves me with an emptiness (one of those that never get filled) but also with a much bigger fullness: a “loot” (as he would have said) that has guided a good portion of my sound and non-sound life.

(There are very few digital images of Pinotto; I found this one online, and although it’s very small, I think it’s beautiful.)

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