Brutte notizie, almeno per me. Se n’è andato, nemmeno così vecchio (74 anni), J. J. Cale, uno dei musicisti a cui sono più legato, musicalmente e non solo. L’ho scoperto intorno alla metà degli anni ’70; qualcuno mi fece ascoltare il suo primo album Naturally (’72) e ci cascai dentro fino al collo, a tal punto che posso certamente considerarlo uno dei miei dischi formativi. Cale, in questo pioniere totale, aveva realizzato l’album sostanzialmente in casa, utilizzando tra l’altro una Drum Machine – fatto inaudito per l’epoca. Registrato e mixato da Cale medesimo (ecco un’altra cosa che ho imparato da lui), Naturally introduce il mondo al Tulsa sound, lo speciale cocktail di blues, jazz e primo r’n’r tipico di Cale, ma anche il suo specialissimo modo di far suonare le canzoni: tutto bilanciatissimo, mischiato e inestricabile, una pasta sonora stupefacente e inspiegabile, e ovviamente la sua voce che, come dice Eric Clapton, sembra che ti parli da dentro. Clapton è stato importante nella vicenda di Cale (portando al successo per primo dei suoi brani, Cocaine e After Midnight, e facendolo scoprire un po’ a tutti), almeno quanto il contrario: nel 2005 Clapton chiede a Cale di produrre il suo album The Road to Escondido “per cercare di capire come ottenesse quel suono”. In corso d’opera l’album diventa a due nomi.
Ma è nelle piccole cose che J. J. è un gigante; in certi quadretti di vita country come Clyde (che suona il basso blues a piedi nudi sotto un portico, col cane che gli tiene il tempo), celebrazioni della mitologia americana come Down to Memphis (che non solo è fatta di un singolo accordo, ma ha la parte di fiati più semplice e efficace della storia – una nota ripetuta nei punti giusti) o piccole storielle morali come Days go by (che forse farò incidere sulla mia lapide).
Insomma se ne va un gigante, celebrato sia da quelli come me che da quelli bravi come Neil Young, che ha dichiarato “dopo Hendrix era il miglior chitarrista elettrico”. Personalmente perdo una delle fonti di ispirazione principali della mia vita musicale (il mio secondo album Inaudito è stato mixato avendo in mente il Tulsa sound, e così molta mia altra musica successiva) e una voce che negli anni era diventata quasi paterna (Cale aveva 21 anni più di me). Grazie di tutto JJ, col tuo lavoro hai reso la mia vita più bella.
Qui trovate il documentario del 2005 To Tulsa and back.