Seguo con ironico distacco le controversie legate alla Rai, azienda per la quale ho lavorato negli anni ’80 (alla radio) e dalla quale sono stato fatto fuori definitivamente (per via di RadioGladio, e a dispetto di ascolti incoraggianti) nell’indifferenza generale (anche dei miei colleghi) oltre vent’anni fa. Questo mi porta a osservare le peripezie altrui con un certo distacco, da Santoro a Fazio, da Dandini a Guzzanti (della cui ritrovata libertà io gioisco, benché naturalmente nessuno di questi abbia alcuna intenzione di ospitare le mie idee). Certo, sentire il promo del programma di Sabina Guzzanti dire “Ci mancavo solo io, adesso siamo tutti su La7” fa un po’ effetto. Ma non tanto: è già da un po’ che la Guzzanti (che mi pare molto brava se costretta, non altrettanto se abbandonata a se stessa) pensa di essere la più estrema e radicale di tutti. E se per tutti intendiamo tutti quelli che prima lavoravano alla tv pubblica probabilmente è vero. Al mondo però c’è molto altro, che non si vede in televisione ma che esiste nella realtà.
Realtà che pur essendo interessata alle nuove idee, non sembrerebbe più intenzionata a sostenerle economicamente. Ho diversi impegni estivi, spettacoli, dibattiti, presentazioni, ma quando si parla di compensi tutti allargano le braccia: non c’è un soldo. Incluse realtà non esattamente povere, come l’Emilia-Romagna. Ora, che io sostenga la programmazione estiva di una delle regioni più ricche d’Italia appare surreale, e certamente lo è – ma tant’è, nel 2012: se tutto va bene andrò in pari.
Questa carenza di attenzione nei confronti della sopravvivenza di chi, come me, crea reddito dal nulla inventando delle cose e vendendole al pubblico o a aziende (giornali, scuole, associazioni, teatri, festival, ecc.), non è affatto limitata a chi organizza eventi culturali, che quantomeno allarga le braccia. Nel delirio della crisi, gente come me scompare: non ha un sindacato, non c’è un’area politica di riferimento, non esistiamo. Abbiamo posizioni fiscali insensate (come la partita IVA, che ti costringe a inserirti in categorie mal calibrate, e ti obbliga a logiche demenziali come le indagini di settore), nessun potere contrattuale (se non la chiara fama) e zero tutele: se io salto un impegno per motivi di salute, com’è successo quest’inverno, il mio committente semplicemente non mi paga. Nessuno dei miei attuali committenti lo farebbe: se non posso lavorare, non posso nemmeno mangiare. Naturalmente so benissimo che c’è gente che se la passa molto peggio, che me la sono voluta da solo, ecc. Però la domanda sorge spontanea lo stesso: come faremo se continua così?