Sappiatelo: sono razzista, e molto. Purtroppo c’è in giro una razza che non tollero, che considero subalterna e con la quale mi rifiuto perfino di parlare. Quando ne incontro un esemplare lo evito accuratamente e se mi rivolge la parola lo aggredisco: gli do del tu, lo apostrofo con epiteti aspri, gli faccio presente in ogni modo possibile che per me è un essere inferiore, indegno di rivolgermi la parola. Questo spregevole soggetto tanto caro alla modernità va sotto il nome di Bot, diminutivo di Robot. Non mi riferisco a quelli che ci sono oggi nelle fabbriche, congegni molto efficienti forse anche perché non sono esattamente delle cime. Parlo in particolare di quelli che hanno l’ardire di voler comunicare con me, essere umano e quindi superiore. Abbiamo tutti riso al paradosso Internet del Robot che ci obbliga a dimostrargli di non esserlo. Lo fa chiedendoci di individuare dei semafori. Vorrei dire che se un Robot non è in grado di distinguere dei semafori, l’espressione “Intelligenza Artificiale” mi pare completamente fuori luogo. Un bambino di otto anni non particolarmente intelligente, oltre a essere in grado di individuare un semaforo ne sa anche interpretare i segnali. Robot: adesso clicca su tutti i semafori verdi con obbligo di svolta a destra: “I’m not a human, I am a digital moron”.
Purtroppo però le aziende adorano questa forma di idiozia artificiale e nel nome del capitalismo sfrenato ce ne impongono la compagnia. Se ancora posso sopportare di selezionare i semafori, quello che mi manda al manicomio è quando tentano di parlarmi: “Ciao sono Pippo, l’assistente vocale della tua banca: come posso esserti utile?” Ciao a chi motherfucker? Non sono tuo amico e non mi stai simpatico, anzi. Come puoi essermi utile? Stando muto e facendomi parlare con un mio pari, una persona umana dotata di neuroni. Una qualsiasi ma non tu, Pippo. Non capisci mai una minchia, mi fai ripetere dieci volte la stessa cosa costringendomi a trovare delle variazioni che il tuo cervello di sasso possa comprendere, spesso invano. Mi chiedi cose assurde senza alcuna relazione col mio problema, e se ti dico che non hai capito una mazza mi rispondi “Puoi ripetere? Non ho capito”, come quel coglione che sei. Il tuo tono servile, una bassezza alla quale nessun essere umano si presterebbe, maschera una strategia perniciosa e vile: sperare che io mi abitui a conversare con un cretino elettrico privo di mente, così che il padrone possa addestrare il suo mentecatto meccanico a spese della clientela per poi licenziare il centralino umano.
Da qualche anno ho anche Siri, che viene col mio telefono e con la quale (ho scelto una voce femminile anche per educarmi a non insultarla) il rapporto è lievemente migliore ma sempre formale, gelido e distante. Non ci faccio conversazione, non ne apprezzo il tono gioviale e spavaldo; non mi aspetto niente di più che una risposta alla domanda “In che anno è uscita People Get Ready degli Impressions?” (1965) o “Quant’è alta Iga Swiatek?” Curiosamente quanto me. Talvolta in auto arrischio perfino un “Chiama tizio”, ma di sicuro non mi aspetto che risolva dei problemi, mi faccia spedire un nuovo Bancomat o ripristini la mia connessione Wifi. Evito anche di fargli domande trabocchetto tipo il senso della vita, cosa provi quando le parlo o chi si creda di essere. So bene che sotto quella patina di efficienza tipica di Apple si annida una cretina col botto, anzi col Bot. Migliorerà? Di sicuro, e anche molto, è evidente – ma non domani. Quindi per adesso quando al telefono incontro uno di questi esseri inferiori ho un solo grido: “Operatore!”
Ma talvolta non basta. L’episodio più eclatante è stato quando ne ho trovato uno particolarmente ottuso al numero dell’assistenza stradale. Cribbio: se chiamo il carro attrezzi forse sono già abbastanza stressato? Non si direbbe: mi risponde il Bot Alfredo che inizia chiedendomi il numero di targa usando le città come lettere, solo che Verona e Mantova non le sapeva; ci ho messo un po’ a capire che Alfredo conosceva solo Venezia e Milano. Quindi mi chiede il numero di polizza: ti ho appena dato la targa, non basta? No, poi vuole anche sapere anche il codice fiscale. A quel punto sbotto e glielo recito con insulti: Minchione Stramaledetto Stronzo eccetera, seguito dal lamento di dolore “Operatoreee”. A quel punto Alfredo si offende, e con un tono risentito mi fa: “Se lo desideri posso passarti a un operatore, ma io sono perfettamente in grado di risolvere il tuo problema”. Che cazzo ne sai? Non solo stiamo qui da un quarto d’ora e al mio problema non ci siamo ancora arrivati, ma ti ricordo che non sai distinguere un semaforo da un trattore. Puoi aiutarmi? Certo: levati dalle scatole, tornatene nell’hard disc dal quale sei uscito e spera che tra 139 release il tuo software diventi abbastanza sofisticato da consentirti di capire la frase: “Vaffanculo, demente di silicio: passami un essere senziente”.