Non sono il tipo che rimpiange il passato, anzi: refrattario alla nostalgia, diffido delle ricette della nonna e mal sopporto l’idea diffusissima che la musica della mia adolescenza fosse migliore di quella odierna. Non lo direi per principio, perfino se lo fosse: è brutto da sentire e probabilmente ai lettori più giovani farebbe lo stesso effetto che faceva a me. Inoltre da molto tempo frequento con grande soddisfazione anche musica di un passato che era già passato ben prima che io nascessi. Esploro repertori come le Bristol Sessions (Tennessee, non UK), uno dei momenti fondativi della musica moderna che compirà 100 anni nel 2027. O le registrazioni delle prime “Regine del Blues”, Ma Rainey e Bessie Smith, che inventano quasi tutto in termini di vocalità e sono prototipi sublimi di donne popstar irregolari, poderose, indomite. Ascolto questa musica non perché sia migliore ma perché, oltre a piacermi, è da lì che viene tutta – inclusa quella di adesso: provare per credere. Ovviamente non si possono fare affermazioni generiche: esiste musica buona e cattiva oggi come allora, e il passato non è privo di porcherie – anzi. Ci sono però alcuni sviluppi che caratterizzano le varie epoche sui quali mi pare interessante riflettere, o quantomeno registrarne l’evoluzione. Eccone due.
Molta della musica registrata negli ultimi trent’anni ha volumi e rapporti di compressione (semplifico: la differenza tra i suoni più tenui e quelli più forti in un brano) sempre più estremi. C’è un altro aspetto sonoro che nel corso degli anni si è estremizzato: la presenza della ritmica, e in particolare della batteria. È successo per ottime ragioni: l’avvento del R’n’r e poi delle band, contesti dove la batteria è predominante e utilissima, per non dire del Funk e della Dance variamente intesa. Potrebbe mai esistere musica per ballare senza batteria? La storia dice di sì. Dal Blues al Liscio (pre Raul Casadei, che aggiunge proprio la batteria) fino al Mambo, si ballava senza bisogno della cassa. Boogie Chillen di John Lee Hooker, prima nella classifica R&B nel ’49 e all’epoca considerata Dance, consiste di chitarra, voce e piedone di Hooker su una tavola di legno a battere il tempo. Per motivi tecnici (all’epoca si registrava con un singolo microfono per tutti, e la batteria interferiva cogli altri strumenti) la quasi totalità dei dischi di Jazz dei primi 20 anni (ballabilissimo) è priva di batteria, la ritmica è costituita da tutti gli altri strumenti che swingano talmente tanto da renderla inutile. Il banjo è uno strumento insieme melodico e ritmico (come tutti gli strumenti africani da cui deriva), e nelle tradizioni americane serve anche a far ballare la gente. Soltanto di recente si è aggiunta la batteria agli organici Bluegrass più Pop, probabilmente in omaggio a questa tendenza moderna, ma nei paesetti del Kentucky per ballare gli basta ancora il banjo. Come è successo con la Salsa post Santana, dove pure spesso c’è la batteria (oltre alle percussioni). Ma non serve. Uno dei miei sogni è un DJ set Techno privo della cassa. Tanto lo sappiamo dove sta, e nei bellissimi momenti nei quali va via si balla lo stesso: immaginate se non entrasse mai.
Tra i miei macrogeneri preferiti c’è la canzone, forma che si è molto trasformata nel tempo. Una volta esistevano gli autori, professionisti che le scrivevano conto terzi. Quindi i brani di Lieber & Stoller, per esempio Jailhouse Rock (scritta nel ’57 per Elvis), non sono espressioni dirette del sentire personale degli autori ma funzionano come la sceneggiatura di un film o un romanzo, dove il protagonista, magari perfido e malvagio, non riflette il modo di essere di chi lo scrive. Esiste un repertorio immenso di canzoni così, momenti nei quali il cantante è altro da se e si immedesima in un personaggio estremo per affermare un’idea poetica. O secondo voi Johnny Cash ha veramente ammazzato qualcuno solo per vederlo morire? Randy Newman, uno degli autori eccelsi della musica americana, ha una carriera parallela come inventore di personaggi spregevoli, razzisti, vecchi bavosi ricchi e stronzi. Congegni poetici per dire cose assai estreme estraniandosi da se: in teatro è una tecnica di base. Esistono perfino canzoni al maschile cantate da donne e viceversa, come l’inno proto-femminista I wish I was a single girl again di Roscoe Holcomb (inclusa nella colonna sonora di Zabriskie Point), eccellente esempio di Old Time Music dei monti Appalachi. Purtroppo questa è un’arte che oggi va scomparendo, tranne in rari casi i cantautori parlano sempre in prima persona e gli autori scrivono canzoni tagliate sui/sulle cantanti, che le interpretano come se fossero autobiografiche. Mi pare un’occasione persa: quale brano contro l’omofobia sarebbe più efficace di uno scritto dal punto di vista dell’omofobo fesso e convinto? Purtroppo però temo che nel 2024 verrebbe interpretato letteralmente da ambo le parti: un tragico appiattimento della modernità.