Stamattina se n’è andato Roberto Freak Antoni, poeta, scrittore, performer e anima degli Skiantos – storica band bolognese, l’anello mancante tra i primi Beastie Boys e i Fratelli Marx. Roberto era geniale e fulminante, ma soprattutto aveva capito una cosa importantissima, che hanno capito davvero in pochi: non è necessario prendersi sul serio per dire delle cose serissime e profonde. La sua apparente leggerezza (chi lo conosceva naturalmente sa che la questione era assai più complessa), la sua cazzoneria programmatica lo hanno reso uno dei personaggi più interessanti della (altrimenti arida, e orribilmente narcisistica) scena italiana degli anni ’80. Una delle cose che me lo rendevano più caro era la sua sostanziale incapacità di stare dentro un format; la sua presenza, per esempio in tv, era sempre implicitamente dirompente: Roberto non era uno da prime time (benché ci sia passato più volte), sapeva dire cose atroci (e spesso atrocemente vere) con tale lievità da essere fuori luogo quasi ovunque nei media italiani. In molti gli auguravamo una seconda carriera, quella di vecchio saggio dell’underground italiano: i numeri ce li aveva tutti, e sarebbe stato un Alt Papa meraviglioso e forsennato. Ci restano le sue canzoni, spesso fulminanti, e i suoi libri – a volte sinceri, altre volte un po’ barocchi, sempre molto intelligenti. Probabilmente in molti lo ricorderanno proprio per il titolo di un suo libro del ’91: Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti, frase buffa e liberatoria con dentro un significato agghiacciante, e verissimo. Freak era così, e così c’era soltanto lui.