Quando fu approvata la legge Gasparri che riformava il sistema radiotelevisivo, in molti gridammo allo scempio, all’occasione persa, alla legge ad personam, fatta per non cambiare niente. Ma la materia era evidentemente ancora troppo tecnica per appassionare il paese – o anche solo la nostra classe politica. Oggi che abbiamo tutti il digitale terrestre (DTV), finalmente possiamo valutare gli effetti di quel provvedimento e aprire un dibattito.
Il primo dato mi pare lampante: non è cambiato niente. Il duopolio che c’era prima c’è ancora, tale e quale. Poi c’è anche La7 – di cui parlo più in basso. Certo, si sono moltiplicati i canali, ma non l’offerta televisiva: si tratta di depandance dei soliti noti (Italia 2, Rai 4, La7 d, ecc.) che in molti casi trasmettono repliche. Ci sono alcune encomiabili novità come Rai Storia (che oltretutto costa poco e rende molto), però di davvero nuovo c’è poco. Certo, è aumentata la scelta, per esempio di telefilm (purtroppo non sempre col doppio audio, ma sempre in ritardo col resto del mondo), c’è Letterman (il Bruno Vespa dei comici USA) ma insomma, non è cambiato niente. Sì, Sky è certamente un’alternativa, però è a pagamento (e l’offerta non mi pare esattamente “alternativa”).
La ragione principale di questo immobilismo sta proprio nell’adozione dello standard DTV, che ha un singolo vantaggio (non si deve cambiare antenna, però il televisore sì) ma immensi svantaggi: volendo avere un canale DTV nazionale bisogna fare immensi investimenti negli impianti di trasmissione, che avviene sempre via radiofrequenze. Sia nel caso del satellite che in quello della tv via cavo questi costi sono invece ridottissimi, e chiunque possa permettersi il costo della licenza può trasmettere. La rivoluzione televisiva americana, che ha prodotto le nuove serie, i canali all news e l’esplosione del fenomeno stand-up comedy, è accaduta proprio grazie all’adozione del cavo e alla conseguente democratizzazione del broadcasting (sorvolo sugli effetti rivoluzionari del cablaggio di un paese, tipo internet velocissima ovunque, ecc.). Da noi invece si è scelto di mantenere le cose come stavano – per ottimi motivi: le azioni Mediaset oggi sono alle stelle.
E poi c’è La7, da molti indicata come “il nuovo” e rifugio temporaneo di star televisive scartate altrove. A volte scartate per motivi politici, come la Dandini o Santoro: questo ha fatto pensare che la7 potesse costituire una novità. E’ curioso che per novità si intenda “usato sicuro, o comunque in buono stato”, e mi sembra un altro effetto della legge Gasparri: se trasmettere ha costi alti, chi me lo fa fare di proporre cose nuove e magari rischiose? Data la situazione mi pare perfino comprensibile. Da quando La7 è diventata del berluschino Cairo (che copia in piccolo la carriera di Silvio, e forse ha pure un piccolo vulcano sul terrazzo), si sono moltiplicati i trasfughi: tra gli altri Gianluigi Paragone (leghista pentito piazzato da Bossi a Rai2, e adesso in odore di Glenn Beck), Salvo Sottile (e il suo format di porno-cronaca) e Rita Dalla Chiesa (che non si merita manco un commento tra parentesi). Insomma il nuovo che avanza – o meglio che avanzava a qualcun altro.
La morale è sempre la solita: largo ai vecchi, al solito, al sanitizzato. Non sia mai che si rischi di cambiare le cose, di inventare nuovi format, di osare. Molto meglio le repliche di Zelig del 2006 su Italia2, che oltretutto alzano il morale del paese.

