Quando vivremo in eterno

(Testata: Rolling Stone)

In fondo la questione è semplice: se sto male vado dal medico, che se sono fortunato mi curerà, riportandomi allo stato originario. Ma se invece io già sto bene però voglio stare meglio, da chi vado? Nella nostra cultura l’idea di medicina è sempre stata associata all’idea di patologia e di cura. Poi, grazie agli psicofarmaci (e a certi pasticcotti dietetici deliziosamente amfetaminici) prima, e al Viagra più di recente, la popolazione ha imparato a considerare la farmacia anche come di luogo di piacere, una sorta di pasticceria chimica. Non solo: abbiamo anche accettato l’idea che alcune caratteristiche assolutamente non patologiche in senso tradizionale, come la pappagorgia, un naso prominente o un seno di volume normale, possano essere “curate” come fossero malattie: iniezioni, creme e anche chirurgia – perfino in anestesia totale. Però basta coi moralismi: ognuno si cura quello che gli pare come gli pare, e se la calvizie o le rughe affliggono più della depressione, o ne sono la causa, io sono interventista: da Cesare Ragazzi a Daniela Santanchè, tutto è permesso. Anche perché questo apre la strada a due importanti e controversi sviluppi della ricerca farmacologica d’avanguardia, che riguardano da vicino tutti noi – nessuno escluso. Due settori apparentemente distanti ma saldamente legati da un concetto, che potremmo definire Chimica Aumentativa. Da un lato la gerontologia d’avanguardia e le sue innovative teorie sulla rigenerazione, che promettono di allungare indefinitamente la durata della vita. Dall’altro le ultime variazioni molecolari dei Drug designer, che lasciano immaginare questi anni extra di vita trascorsi in un infinito trip psichedelico. Insomma il futuro parrebbe essere popolato di psiconauti ultracentenari, arzilli nonnetti che cavalcano baldanzosi la quarta età sull’onda di una iper-consapevolezza lisergica… Matusalemme più Timothy Leary più il Bunga. Ma andiamo con ordine.

Senescenza Irrilevante
Questo è l’obiettivo di Aubrey De Grey, uomo bandiera della medicina rigenerativa, e della sua fondazione “Strategies for Engineered Negligible Senescence” (SENS). De Grey, che ha il physique du rôle del mago e un delizioso accento inglese, raccoglie fondi per una causa molto nobile: invertire l’invecchiamento. Qui sta la sua genialità, scientifica ma anche di marketing: non per le generazioni future, bensì per la nostra. Gli studi sul DNA mitocondriale di De Grey, che viene dall’informatica, lo hanno portato a sovvertire il pensiero dominante sull’invecchiamento, sostenendo che questo non è affatto scritto nei nostri geni (i quali, secondo alcuni, sarebbero responsabili solo al 10% nel determinare l’aspettativa di vita), ma invece ha delle cause precise e può quindi essere curato, e non semplicemente rallentato o reso meno disagevole, che è l’approccio abituale della gerontologia. Nel suo saggio Ending Aging del 2007, De Grey individua sette cause cellulari dell’invecchiamento: si va dai “Rifiuti extra-cellulari, responsabili di malattie come il morbo di Alzheimer” a  “Mutazioni nei legami reciproci extra-cellulari tra proteine, causa tra l’altro dell’irrigidimento delle pareti arteriose.” L’idea è di mettere a punto dei protocolli (cellule staminali, terapie genetiche, ecc.) in grado di far regredire questi processi. Secondo De Grey la combinazione di queste cure potrebbe portare a quella che lui chiama “la velocità di fuga della longevità umana” – insomma la vita eterna, o quasi. D’altronde le statistiche parlano chiaro: non solo la vita si allunga, ma la grande maggioranza degli esseri umani muore, come si dice, nel suo letto, di vecchiaia o di una delle malattie dell’elenco di De Grey. Questo è un altro aspetto interessante di questa vicenda. Sulle cause dell’invecchiamento infatti sono tutti d’accordo; e anche sulle cure. Non è un caso che la medicina moderna punti moltissimo sulle Staminali e sulla genetica. L’idea di De Grey è appunto un’idea, un’intuizione, e anche un po’ una sovversione: chi l’ha detto che si deve invecchiare? E se le cause del decadimento le curassimo tutte, dove sta scritto che invecchieremmo comunque? La filosofia, e la religione, sono ovviamente dietro l’angolo. Il bello però è che finalmente non è “chi vivrà vedrà” ma, secondo il SENS, “intorno al 2030”: teniamo duro.

D’altronde l’allungamento dell’aspettativa di vita e il posticipo della senescenza sono fenomeni che conosciamo molto bene, da almeno un secolo, anche negli aspetti sociali e psicologici più drammatici. Siamo ben contenti di vivere più a lungo, ma naturalmente speriamo tutti di arrivarci in buona salute, e sani di mente. E possibilmente in un mondo che non sia completamente andato a puttane – anche per via della sovrappopolazione. Che è soltanto una delle questioni gigantesche aperte da questo scenario: se fossi l’INPS, le teorie di De Grey mi preoccuperebbero molto. Non solo, ma nell’occidente industrializzato l’età media è già immensamente più alta rispetto al resto del mondo, e ovviamente i primi a fruire dei nuovi ritrovati saremo noi, no? Benvenuti in un incubo, nel quale però noi siamo gli zombi: un mondo (questo qua, non uno più grande) pieno di vecchi antichissimi però giovanissimi e sveglissimi, con tempo da perdere, il cazzo in tiro e la pensione assicurata per i successivi 96 anni – che loro ovviamente contano di trascorrere gozzovigliando alla faccia dei giovani. Dovremmo saperlo bene: in fondo siamo noi. E al SENS si rendono perfettamente conto delle nostre aspettative: “Impiegheremo una varietà di tecniche diverse, inclusa la riparazione di cellule e di materiale extra-cellulare in situ, che globalmente chiamiamo Biotecnologie di Ringiovanimento.” Espressione perfetta anche per la campagna pubblicitaria.

Interludio
Una volta, insieme al compianto Giancarlo Arnao (tra i massimi esperti italiani di droghe, scomparso nel 2000), che all’epoca aveva circa 70 anni e meditava di andare in pensione (era dentista), si parlava di droghe e terza età. Fu come al solito fulminante: “E’ l’età perfetta per prenderle tutte. In fondo non hai più obblighi verso i figli, non svolgi lavori delicati e hai un mucchio di tempo libero. Non solo, ma perfino se dovessi diventare dipendente, in fondo che male farebbe?” C’è da crederci, lui di sostanze se ne intendeva. M’è sempre sembrato uno scenario confortante: un autunno di fattanza controllata ma buongustaia, innocua e un po’ svagata (o furibonda e ipersessuale, come si usa ultimamente). Naturalmente Arnao è culturalmente figlio degli anni ’60, e ha sempre avuto un atteggiamento scientifico e indagatore con le droghe, oltre che ricreativo. Era un vero psiconauta, non tanto nell’abuso di sostanze quanto proprio nel suo ruolo, un po’ scienziato e un po’ cavia. Quando negli anni ’60 fu popolarizzato l’LSD, innanzitutto in ambito medico e psicoanalitico (sia Arnao che Fellini fecero la loro prima esperienza lisergica, quando era ancora legale, proprio in questo contesto), il suo status era già molto singolare. Innanzitutto per la potenza dell’effetto, ma anche per la capacità di farci attraversare le famose Porte della Percezione, permettendoci di accedere a quella che molti descrivono come il lato non visibile della nostra mente, e forse anche della realtà. Albert Hoffmann, il suo inventore, la considerò fin da subito una molecola molto speciale, Allen Ginsberg parlava di allargamento dell’area della coscienza, gli hippies lo descrivevano come un viaggio interiore molto esotico. Erano davvero altri tempi, e sostenere oggi che si possano assumere delle droghe per fare un’esperienza culturale suona come una follia. Per molti anni però è stato così, e questo spirito sopravvive tutt’ora, con tutte le dovute differenze.

Psichedelia Trans-umana
Su una cosa sono tutti d’accordo: dopo Hoffmann viene Alexander Shulgin, farmacologo americano (classe 1925) e stupefacente figura di psiconauta militante. Nel ’67 riscopre l’MDMA, dieci anni dopo la popolarizza, introducendola alla comunità scientifica come coadiuvante nelle terapie psicologiche, e se ne innamora. Nel ’94 pubblica, insieme alla moglie, il fondamentale saggio Phenethylamines I Have Known and Loved: a chemical love story. Delle Feniletilamine fanno parte sia l’Extasy (MDMA) che la Mescalina. Non pago, nel ’97 arriva il seguito, Tryptamines i Have Known And Loved: The Continuation, dedicato alle Triptamine – famiglia a cui appartengono sia il DMT che la Psilocibina. I libri di Shulgin (detti PiHKAL e TiHKAL) vanno dritti al punto: “PiHKAL è diviso in due parti: un’autobiografia letteraria della coppia e dettagliate istruzioni per sintetizzare oltre 200 molecole psichedeliche, inclusi dosaggi, controindicazioni e altri commenti.” La DEA non sa bene cosa pensare di lui: da un lato è loro consulente, ha ricevuto diversi premi e scritto saggi legali sul tema; dall’altro però dichiara: “In molti dei laboratori clandestini che abbiamo scoperto c’erano copie dei suoi libri”.

Shulgin ovviamente ha uno status non dissimile da quello di Hoffmann o Leary, sia presso la comunità scientifica che presso i fan delle sue molecole: disapprovazione da un lato, culto e aura di santità dall’altro. Eh sì, perché la Psiconautica nel 2011 non è mica morta, anzi. Grazie a Internet e alla geo-diversità di legislazioni sul tema, mai come oggi è possibile sperimentare col proprio cervello. Non solo, ma gli stati devono rincorrere il mercato per stare dietro alle milioni di varianti molecolari, tutte legali fino all’inserimento nelle tabelle di legge che infatti ormai assomigliano a elenchi del telefono. Ovviamente il mondo è pieno di luoghi con leggi assai più lente, ed esiste un mercato gigantesco di sostanze: vecchie, nuove, nuovissime e ovviamente quelle future – che qualcuno ha prodotto ma nessuno ha mai testato. Però, mentre Shulgin sa esattamente cosa sta facendo, qui è tutto molto più ambiguo e rischioso: ci sono varianti molecolari dell’MDMA in grado di uccidere il tuo fegato in 6 ore, e te in 12. L’illegalità ovviamente moltiplica per mille il rischio. Fatto sta che oggi è possibile allargarsi l’area della coscienza praticamente in qualsiasi modo, e l’universo delle Designer drug è in costante espansione. Esattamente come negli anni ’60, anche stavolta c’è dietro anche una voglia di cambiamento e di sovversione del pensiero dominante: “Si può provare a cambiare l’ambiente esterno, oppure si può cambiare la propria coscienza,” dichiara Dave Pearce a Dazed & Confused, “ma con le riforme sociali si arriva solo fino a un certo punto.” E conclude: “L’opzione che mi interessa è quella delle designer drug, molecole che possono provocare cambiamenti e potenziamenti senza effetti collaterali sociali o cognitivi.” Pearce è un filosofo che “riflette sull’eliminazione della sofferenza umana attraverso la nanotecnologia, la farmacologia e la neurochirurgia, per aiutarci a aumentare le nostre potenzialità e trasformarci dapprima in trans-umani e poi in post-umani.” E non è l’unico a pensarla così: dopotutto il superamento dell’umano è uno dei grandi temi dell’umanità.

Insomma, il futuro è post. Post-anziano (a tempo indeterminato, secondo De Grey) o direttamente post-umano. Saranno la ricerca genetica, la chimica e le nanotecnologie a renderci post, e la promessa è allettante: non solo quantitativamente più vita, ma qualitativamente migliore in molti sensi – allungata, espansa e allargata. E vedo già diverse tracce di post-umanesimo nascente. Qualcuna mi fa sorridere, come la protesi del presidente (post-capelli) o quelle mammarie esagerate, alle quali il termine trans si adatta proprio bene, ma altre mi strabiliano, come le gambe di Pistorius o i 200/10 degli occhi artificiali, non soggetti ai limiti umani. Insomma, il post-umanesimo è già qui: per piacere non ditelo alla Santanchè.

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