Ipod Junkies

Una delle grandi dipendenze generazionali (oggetto di studio e di dibattito) è quella da musica: i giovani, si sa, non possono farne a meno e ne sono grandi consumatori. Dato però che questo legame tra gioventù e musica esiste almeno dal dopoguerra, si può tranquillamente affermare che oggi una bella fetta della popolazione consuma attivamente della musica: ecco come mai la Apple ha reclamizzato l’Ipod pure alle fermate del tram.

L’impiego di musica di sottofondo nei media è andato aumentando in modo esponenziale nel corso degli ultimi 25 anni (dati SIAE). In televisione, per esempio, ormai non si prevede più nessuna voce senza qualche nota sotto, dalle presentatrici alle previsioni del tempo. Una volta alla radio esisteva il Bianco Rai, 5 secondi di silenzio tra i programmi; oggi nelle stazioni commerciali, l’horror vacui è tale che la pausa è stata abolita, e i programmi si mixano tra loro – benché la radio sia priva di telecomando.

Molti adolescenti vivono costantemente immersi nella musica, pur frequentando pochissimo i negozi di dischi, sia fisici che digitali: tra radio, tv, playstation e Peer to peer hanno una scelta infinita. Sono i 30/40enni a comperare musica. La quale però è spesso compilata, raccolta o mixata, perché destinata a un consumo da parati, di sottofondo: una dose media giornaliera di suoni, magari scelti da altri, ma buoni per riempire in modo cool il silenzio.

Perché è il silenzio il vero protagonista della dipendenza compulsiva da musica di sottofondo. E se è vero che la musica è terapeutica, questo è un sovradosaggio quotidiano costante. Una volta negli uffici americani si diffondeva la Muzak, musica anonima che aumentava la produttività degli impiegati. Oggi ci autosomministriamo dosi massicce di suoni, anche forse per la stessa ragione: non c’è niente di meno efficiente che fermarsi a riflettere, e niente di più spaventoso del silenzio assoluto.