Crack

In concomitanza con la discussione in Parlamento della legge Fini, che equipara chi si droga a chi ammazza o stupra, comincia a far sentire i suoi effetti sociali in Italia una sostanza diffusissima negli Usa e in Sud America: la Cocaina da fumare, disponibile nelle varietà Freebase (in italiano Base, il cui verbo è Basare) e Crack.

In ambedue i casi la Coca viene trasformata dai consumatori stessi, e nel caso della Base la preparazione include un trattamento con l’Etere riscaldato che può risultare pericolosissimo: nel 1980 il comico americano Richard Pryor si diede fuoco mentre cucinava il Freebase. Il Crack invece si ottiene scaldando la Coca nell’Ammoniaca o nel Bicarbonato: in ambedue i casi lo scopo è di rimuovere l’Idrocloride dalla Cocaina, rendendola così fumabile.

Fumare Crack e Basi fa arrivare una grande quantità di Coca al cervello molto più rapidamente che sniffandola; l’effetto è quindi più intenso e psichedelico ma di durata minore. Questo porta a fumare ad intervalli sempre più brevi, che possono arrivare fino a 2/3 minuti.

Tra gli effetti negativi principali oltre allo stress cardiaco c’è l’edema: la classica goccia al naso dei cocainomani diventa liquido che si accumula nei polmoni e nel cranio. Si è fatta questa ipotesi anche nel caso di Marco Pantani, che avrebbe cercato di attenuare il down (la sgradevole irrequietezza che subentra dopo l’uso) con un farmaco ipnotico, il cui potente effetto gli avrebbe impedito di accorgersi delle difficoltà respiratorie.

La proposta di Fini, in discussione alle Camere, sulla Coca è curiosamente contraddittoria: il tetto oltre il quale scatta il carcere (ma sotto il quale si becca comunque una sanzione amministrativa) sarebbe di 250 milligrammi a testa per le droghe leggere (e cioe’ due cannette piccole piccole) e di 500 per la cocaina, sufficienti per prepararsi tra le 10 e le 20 dosi di Crack, e comunque farcisi una seratina niente male.