Bianco Bianco Bianco

Da qualche anno in tutta Europa c’è stato un enorme cambiamento culturale, al quale noi italiani facciamo molta fatica ad abituarci, e perfino a riconoscere. Sappiamo che oggi la composizione cromatica delle popolazioni europee sta cambiando velocemente, e l’Italia è un buon esempio: stiamo tutti imparando (chi più chi meno) che non-bianco non significa automaticamente non-Italiano. Alcuni paesi europei lo sanno da più tempo, e si sono abituati. Per dire: il sindaco di Rotterdam si chiama Ahmed Aboutaleb, è nato in Marocco e la sua bio inizia con la frase “è un politico olandese”. Quello di Londra, Sadiq Khan, è nato in UK da genitori Pakistani.

Sono abbastanza antico da ricordare un’Italia uniformemente bianca, salvo per qualche raro immigrato dalle ex colonie dell’Africa orientale, che osservavo con immensa curiosità infantile. Poi, a un certo punto, sono iniziati ad arrivare altri tipi di non-italiani, che all’inizio erano degli alieni, poi pian piano sono diventati sempre più Italiani, magari non loro ma i loro figli. Per alcuni nostri compaesani, specialmente i più vecchi, si è trattato di un evento terribile, dalle conseguenze nefaste. Il razzismo, la cui peggiore forma secondo me rimane quello inconsapevole, era dapprima evidente e manifesto, e c’è voluto del tempo per sconfiggere culturalmente l’idea che si possa affettuosamente chiamare qualcuno “Negro”. Detto questo la via è ancora lunghissima, se si pensa che c’è ancora chi sostiene che i Filippini abbiano una “predisposizione alle pulizie domestiche”. Però un bel pezzo di strada si è fatta, abbiamo tutti mangiato la pizza fatta da egiziani (e ci è sembrata eccellente), bevuto il cappuccino cinese (indistinguibile) e apprezzato il pakistano all’angolo, che vende il latte fresco e chiude a mezzanotte. Non credo che oggi qualcuno desideri davvero un paese omogeneamente bianco, come quello nel quale sono nato io – salvo alcuni fessi trogloditi, già irrimediabilmente sconfitti dalla storia.

Questa nuova situazione però impone a tutti noi, salvo forse ai trogloditi di cui sopra, un ulteriore passaggio culturale, non esattamente indolore. Mi spiego. Quando ho iniziato a capire come funzionava il mondo, il nord e il sud, i bianchi e i neri, mi sono chiesto: e io, che sono? La geografia dice che l’Italia è una specie di ponte che collega la Mittel-Europa e il Nord Africa. Se un Danese è bianco, un meridionale come me, che sarà mai? Mi sono dato alcune risposte consolatorie, la migliore delle quali era “Mediterraneo”, immaginando un’area culturale omogenea che va dal sud della Francia all’Italia passando per Spagna, Marocco, Algeria, Turchia, Palestina, ecc. La verità però è un’altra. La verità, terribile, è che nel 2017 la definizione di “Bianco” si deduce da altri indicatori, assai precisi: i nostri consumi, la qualità della nostra assistenza sociale e sanitaria, i nostri desideri e aspirazioni, le auto che guidiamo, gli smartphone, la pensione minima, il cornetto vegano, ecc. Se si guarda una mappa del mondo con questi parametri in mente, la distinzione è chiarissima – e noi italiani siamo bianchi come la neve.

Niente di grave. Però è essenziale averlo ben chiaro, perché non è una condizione semplice com’era in passato. In una società veramente policroma non esistono persone neutrali. L’Italo-Africano, perfino se avvocato o medico, sarà comunque sempre un nero, con tutto quello che questa tonalità comporta. E io sarò comunque sempre bianco, a prescindere: se in fila all’aeroporto per un controllo a caso scelgono una persona non-bianca, già dovremmo sapere tutti che potrebbe essere Italiano/a come noi. Però dovremmo anche iniziare a tenere conto del previlegio di essere meno controllati, non in quanto Italiani, ma solo perché bianchi. Idem per gli alberghi, i posti di lavoro, i dirigenti d’azienda, il razzismo benevolo del commesso al supermercato, il “tu” sistematico. Non stanno soltanto discriminando qualcuno: stanno anche previlegiando te e me, per via del colore della nostra pelle. Brrr.

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