Volontà e Rappresentazione

Mentre scrivo il caso del momento è quello dell’incidente alla Costa Concordia, i morti, i dispersi, il possibile disastro ecologico, la canaglia e l’eroe (ovviamente poi vedremo, ma per ora è così). Abbiamo ascoltato tutti le drammatiche telefonate nelle quali De Falco intimava a Schettino di risalire sulla nave, di prendersi le sue responsabilità: il grido “Vada a bordo, cazzo!” è già popolarissimo, e quando leggerete questo pezzo ci saranno pure dei remix dubstep. C’è però un aspetto meno ovvio ma molto interessante, che consente di fare una riflessione (spero) non banale e più ampia della bontà di De Falco e la malvagità di Schettino. Le famose telefonate in realtà sono due, anche se per brevità sono state spesso mixate. Inoltre quasi tutti hanno tagliato una frase a mio parere cruciale, pronunciata da De Falco: “Io sto registrando questa comunicazione, comandante Schettino.” La mia impressione è che Schettino non capisca esattamente: in fondo sta su una scialuppa, in mezzo al mare, al buio. Viceversa mi pare un dato essenziale per capire il senso di questo colloquio, e chiama in causa alcune questioni interessanti.

Se io vi punto contro una macchina fotografica, una telecamera o un microfono, 99 su 100 voi vi metterete in posa. Non c’è nulla di male: l’idea è quella di offrire un’immagine di noi che ci pare migliore di quella solita, abituale. Ci si pettina, si scandiscono le parole, si offre il profilo giusto, si sorride. Ecco perché l’espressione Reality Show è un ossimoro: se c’è lo show, la realtà va a farsi benedire. Oppure pensate davvero che le persone siano come appaiono al Grande Fratello? Sanno perfettamente che le telecamere sono accese, quindi offriranno un’immagine (che a loro pare) migliore, metteranno in atto strategie per accattivarsi la simpatia e benevolenza del pubblico, che non vedono ma sanno che c’è. Il vero Reality sarebbero semmai le telecamere di sorveglianza che ci riprendono a nostra insaputa, o le microspie nelle auto dei corrotti. In quel caso, non essendoci consapevolezza, non c’è rappresentazione: in tutti gli altri invece sì, dalle telefonate con Magalli per partecipare ai giochi alle interviste per strada, fino agli oramai famosi dialoghi tra De Falco e Schettino.

Nei quali io trovo molti spunti, il più spettacolare dei quali mi pare la drammaturgia. Fondamentale è l’ambientazione psicologica; non sono due tizi qualsiasi ma due capitani di navi, con tutto quello che questa posizione comporta: onore, coraggio, potere, ardimento – e ovviamente i rispettivi opposti. lo scenario è pure importante: una sciagura, e l’urgenza dei primi soccorsi. Tutto quello che evoca De Falco si incastra perfettamente in una sceneggiatura con quelle premesse: “Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. È chiaro?”, “Vada a bordo. Coordini i soccorsi da bordo. Che fa, si rifiuta?”, “Lei ha dichiarato l’abbandono nave, adesso comando io.” Fino al pirotecnico: “Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io… le faccio passare un’anima di guai. Vada a bordo, cazzo!”

E’ ovvio, almeno a me, che De Falco sta costruendo il caso Schettino (che mentre scrivo sembra peraltro argomentato e giustificabilissimo) mentre accade, creando una sorta di dramma marinario/giudiziario in tempo reale. L’uso di terminologia tecnica, come “Che fa, si rifiuta?”, l’evocazione di questioni gerarchiche, “Io le sto dando un ordine comandante!” fino al disprezzo: “E con cento persone ancora a bordo lei abbandona la nave? Cazzo!”, “E che vuole tornare a casa Schettino? È buio e vuole tornare a casa?” Mi pare evidente che De Falco stia raccontando una storia, nella quale ci sono il male e il bene (ingredienti essenziali di ogni epica), e noi sappiamo subito chi è cosa. Gliene faccio una colpa? Assolutamente no, anzi: vorrei proporlo al Prix Italia come miglior radiodramma del decennio.

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