Striptease al contrario

Uno dei settori in cui la globalizzazione sta avendo effetti spettacolari è certamente quello sessuale; nello sterminato supermercato dell’offerta erotica della rete non solo sono presenti infinite variazioni di genere, ma anche molti prodotti legati alla geografia e ai costumi di un paese o area geografica. Un esempio recente, e davvero controverso, è il sito Mujra.tv: “Questi video underground contengono bellissime donne indiane e pakistane che ballano e mostrano il seno (e altro)!” La promessa, oltre a vedere (per pochissimi istanti) delle tette pakistane, è quella di assaggiare l’atmosfera proibita dei “private parties in Lahore”. Uno dei paesi più gettonati per l’esotismo sessuale è ovviamente il Giappone, che sta contribuendo moltissimo all’arricchimento della lista delle pratiche – anche grazie alla sua propensione al record, all’impossibile, ai grandi numeri. La prova perfetta di questo è la penetrazione (gioco di parole non voluto) di termini, e pratiche, estremi nel linguaggio comune. Se io dico Bukkake, quanti di voi sanno di cosa parlo? Molti, credo. (Per chi non lo sapesse il Bukkake, che vuol dire schizzo, è una variante che prevede la partecipazione di una singola donna e molti uomini, a volte decine e più. Culmine del Bukkake è l’eiaculazione dei partecipanti sul volto della signorina nel minor tempo possibile)

Il Giappone per secoli è stato il non plus ultra dell’esotico; oggi mantiene questa caratteristica anche grazie alla bizzarria (o bellezza, o stranezza) di certe sue pratiche: basta aver visto una puntata di Mai dire Banzai per capire di cosa sto parlando. E anche in campo sessuale il punto non è mai l’estremo (anche se poi i giapponesi primeggiano anche in quello) ma sempre il curioso, lo strano – spesso l’incredibile. Il Dvd di un’orchestra che esegue (male, mi sembra) generica musica classica ma nel quale tutti i musicisti sono donne e suonano nude; o l’incredibile serie di video di giochi olimpici femminili nudisti, dove non si accenna mai a niente di sessuale, e il tutto avviene in un’atmosfera di ilare giocondità e sano agonismo nudista. Prodotti per noi parzialmente incomprensibili, dove sentimenti molto radicati nella mentalità giapponese, come la vergogna, giocano un ruolo che a noi spesso sfugge completamente.

Uno degli esempi più pop di questo genere di cultura è certamente il Cosplay, unione delle parole Costume e Play. E’ quella curiosa mania di alcuni giapponesi, fan di personaggi dei Manga, di vestirsi come i loro beniamini e ritrovarsi insieme ad altri appassionati travestiti per celebrare un film, cartone animato o personaggio dei fumetti. I Cosplayer (un sottogenere di Otaku, altra parola utile nel 2007, e traducibile grossolanamente con l’inglese Nerd), generalmente teen-ager, si ritrovano vicino alla stazione di Harajuku o in locali a tema, vestendosi a volte in maniera fedele all’originale, altre volte mescolando vestiario giapponese, alta moda e elementi di Cosplay – con esiti davvero pazzeschi.

Ovviamente il Cosplay è anche una pratica sessuale, specialmente in Giappone. Consiste nel fare sesso mentre uno o tutti i partecipanti sono in costume. La punta dell’iceberg ovviamente è l’uniforme scolastica (da sempre oggetto di fetish nei paesi in cui esiste), ma molti Love Hotel nipponici offrono la scelta di un costume compresa nel prezzo: scolaretta/o, ma anche Hello Kitty o i Pokemon. Certamente non adatto a tutti, anche se l’idea della Bella Addormentata nel Bukkake ha un fascino iconoclasta difficilmente contestabile.

Immagine di cuhkacs.org/~little4/ little4, da Wikipedia.

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