Speciale MySpace

(Testata: Rumore)

Sono anch’io su Myspace, lo confesso. L’ho fatto per diverse ragioni, non ultima quella di scrivere questo articolo. Ma non solo: volevo sperimentare in prima persona come funziona il più grande network sociale del mondo. E poi era ovvio che sarebbero nate delle controversie intorno a Myspace, era solo questione di tempo; e, come sapete, le controversie mi sono simpatiche. Appena iscritto (come musicista, dopo una procedura tortuosa e a tratti scoraggiante) ovviamente mi sono messo a cercare amici, come fanno tutti; per la cronaca il mio primo amico è stato Amon Tobin. Ma già al secondo (Painé) mi è sembrata chiara una cosa: su Myspace i veri amici sono quelli veri, la gente che conosci o che ritrovi, come il buon Katzuma. Quindi ho cercato i miei cari e li ho messi nel piccolo altarino dei friends (che si dividono in due generi: i primi 8, che compaiono nella tua home page e gli altri, relegati in un infernetto raggiungibile cliccando “guarda tutti gli amici di…”). Dato però che automaticamente anch’io ero loro amico, sono immediatamente iniziate a arrivare richieste di amicizia. Innanzitutto da gente che ti stima davvero (tra cui alcuni di voi, grazie); poi i vecchi amici come Xabier Iriondo o Eraldo Bernocchi. Inoltre ci sono gli esordienti che vogliono farti sentire le loro cose: come biasimarli? E ultimi, ma non ultimi come quantità, gli amici di tutti, quelli che hanno migliaia di amici, e non appena li aggiungi iniziano a innaffiarti di messaggi (visibili nel tuo spazio): serate, aggiornamenti, réclame… Un disastro, altro che amici.

Ovviamente la prima cosa che colpisce è che ci trovi le star: che ci fa 50 Cent in una paginetta poco personalizzabile, e uguale a quella degli Unbelievable Cazzons? Sostanzialmente una sola cosa: viene sul corso a fare lo struscio. Il brutto di Internet infatti è che per visitare Fifty ti tocca andare sul suo sito, dove sei uno spettatore passivo, magari puoi scaricare un wallpaper o lasciare un commento, ma niente altro. Su Myspace invece c’è la sua musica (che puoi aggiungere alla tua pagina), le foto, i video, in certi casi perfino il blog e poi puoi diventargli amico, metterlo tra i primi 8 e identificarti pubblicamente con lui: altro che wallpaper. Peccato che Fifty quella pagina magari non l’ha nemmeno mai vista. E se Amon Tobin ha l’onestà di scrivere che lo spazio è mantenuto dal suo management, molti artisti anche italiani, perfino alcuni occasionalmente menzionati su Rumore, hanno qualcuno che gli mantiene lo spazio, gli aggiunge gli amici, e talvolta gli scrive pure il blog. Ecco una breve intervista a un curatore professionista italiano di Myspace, che ha chiesto di restare anonimo:

SM: In cosa consiste il tuo lavoro?

XX: Consiste, in parte, nella gestione-mantenimento delle pagine myspace di alcuni artisti coi quali collaboro. Dico alcuni, perché altri pare si siano svegliati e non ne abbiano più bisogno. Non faccio altro che aggiungere chiunque mi abbia inviato una richiesta di friendship (perché ovviamente non si rifiuta nessuno), leggere i commenti prima che vengano postati sulla pagina (nel caso ci fossero cose sconvenienti, insulti, bestemmie, pornografia ecc.), aggiornare la pagina con eventuali novità (come “è uscito il mio disco: compratelo!”) e aggiungere le date dei live.

SM: Cosa chiedono i visitatori di Myspace ai vip?

XX: Si dividono in fan generici, che non chiedono nulla oltre all’add. Fan femmine, i cui messaggi vanno dal “ci siamo conosciuti ti ricordi?” alle proposte sessuali. Giovani band o giovani dj che mi invitano (inutilmente) a sentire i loro pezzi sui rispettivi myspace, o magari mi chiedono recapiti per inviare dei demo. Di solito rispondo solo alle richieste relative alla logistica degli eventi; se ho un link alla serata mando quello. Poi, talvolta, l’artista si collega e risponde o scrive un po’ a chi gli pare, anche perché sempre più spesso capita di ricevere mail da altri artisti, che evidentemente si autogestiscono.

SM: Decidi tu gli 8 amici principali che compaiono nella homepage?

XX: Si li ho decisi io, poi certo se decidono di cambiarseli lo fanno, ma non lo fanno perché hanno scoperto internet l’altro ieri.

Insomma siamo lontani anni luce dalla community orizzontale che qualcuno s’immagina. E’ la solita solfa: la foto con dedica del vip firmata dalla segretaria – in versione digitale.

Poi alla fine un casino è scoppiato intorno a Myspace; l’ottimo Billy Bragg si è letto il contratto ed è saltato sulla sedia, aprendo una questione (vedi l’articolo di Pomini) e obbligando il sito a modificare la dicitura sulla proprietà dei materiali (una clausola peraltro comune, e transitata anche sui contratti di certi provider italiani). Personalmente mi sembra che ci sia un po’ di confusione, e qualche approssimazione, in questa polemica. Infatti nessun tribunale al mondo priverebbe un artista dei suoi diritti, a favore di un immenso gruppo editoriale, per via di una licenza estorta subdolamente facendo cliccare qualcuno “io accetto”; non solo, ma dal giorno dopo Myspace avrebbe chiuso: il social networking non perdona (come sanno bene certi siti che, una volta passati alle corporation, hanno avuto notevoli diminuzioni di traffico). Quindi la questione sollevata da Billy è sacrosanta nel principio, ma poco rilevante nella sostanza. Tantopiù che se vado su myspace.com/billybragg, mentre ascolto la sua musica (che resta di sua proprietà) mi guardo i banner di Murdoch (proprietario del sito), che non si sogna lontanamente di dividere i proventi con Bragg. Quindi qualcuno sta già sfruttando la nostra musica, distribuendola in tutto il mondo e guadagnandoci alle sue spalle. Ma il banner è solo la ciliegina sulla torta. La domanda giusta infatti non è: “Di chi è la musica che sta su Myspace?” Bensì: “Qual è vero il business di un sito così?”

Bragg sfiora casualmente la questione nel suo comunicato, definendo Myspace “il più grosso sito di social networking sulla piazza”. Il social networking è parte di un fenomeno molto più esteso, che gli esperti chiamano Web 2.0. Altri esempi di questo nuovo tipo di rete sono i servizi di Blog, Youtube, Google video, ecc. Insomma tutti quei siti e servizi vuoti, da riempirsi a cura degli utenti, che poi ne diffondono i contenuti nelle proprie reti di contatti. Un web attivo, vivente, dove le relazioni socio-culturali (variamente intese) si esprimono in visite, link, trackback (un meccanismo per il quale se io parlo di un altro blog nel mio, il mio commento compare automaticamente in quel blog) e amici, ma anche nella diffusione di video e canzoni in modo “virale” (come i due cinesi che fanno il playback, o la nonna che calcia il nipotino) fino a renderli fenomeni planetari. Siti nei quali il volume e il genere di traffico sono determinati da contenuti introdotti dagli utenti, e nei quali il comportamento dei visitatori è disinvolto e molto attivo. Tutto questo movimento ha delle caratteristiche sociali, culturali, demografiche, generazionali e comportamentali ben precise; l’analisi di questi dati è già oggi una miniera d’oro i per siti citati qui sopra: Google sa chi sei e cosa cerchi (e se hai la sua toolbar sa anche sempre dove sei), Youtube sa cosa guardi e cosa linki dal tuo blog, che a sua volta conosce i tuoi dati personali, l’area geografica da cui ti colleghi tu e chi ti visita. Se poi si considera che Amazon sa quanto spendi in libri e dischi, e Google Mail sa praticamente tutto di te, la situazione è chiarissima: in cambio del servizio si prendono questi dati, li elaborano come credono (con algoritmi sofisticati, e risultati sorprendenti), poi li usano e/o li rivendono. Dati esattissimi su di me, su di voi, su Billy Bragg, sui suoi amici e i suoi visitatori. Perché, comunque la pensiate, non importa quanto radicali possano essere le vostre idee e controcorrente i vostri comportamenti, siete – siamo – tutti dotati delle uniche cose che interessano a Murdoch e ai suoi simili: dei dati personali, delle abitudini di consumo e un portafogli.

Questo articolo è dedicato alla memoria di Dj Rodriguez, original funkmaster bolognese e persona profondamente perbene.

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