Retromania!*

Tra le mie grandi fortune (non moltissime, per la verità, ma delle quali sono molto grato) c’è certamente quella di insegnare. Secondo me già l’idea della trasmissione orale delle conoscenze è una cosa bella. Se poi si considera che io insegno Storia della Cultura Pop in una accademia (privata, lo IED di Milano), si capisce bene che la questione è assai attraente. A me spetta infatti un compito complicato, però anche necessario, utile e fruttuoso. Oggi infatti viviamo dentro la cultura Pop, che ci circonda in mille modi – alcuni davvero terrificanti. E la gran parte di questa cultura non è contemporanea ma storica. Appartenente però a una curiosa storia, che se da un lato è certamente considerabile culturale, dall’altro ha ancora un suo versante commerciale spesso assai florido: il passato vende benissimo, e molti artisti morti guadagnano meglio della gran parte di quelli in vita. Quindi se io parlo loro di Stevie Wonder o di Cab Calloway, gli racconto di Mary Quant e Vivienne Westwood, o gli mostro la prima comparsa rilevante dei Jeans nella cultura Pop, io gli sto parlando di cose tuttora attuali, spesso oggi esattamente identiche, delle quali i miei studenti (che hanno intorno ai vent’anni) possono fruire, e spesso fruiscono, in questo curioso presente espanso del Pop, dove i Beatles gli arrivano insieme ai Beastie Boys e ai Bee Gees. Quindi spesso si ritrovano nella doppia veste di studenti di Pop ma anche clienti del medesimo, magari inconsapevoli. Un buon esempio sono gli Who, presentissimi nelle loro orecchie per via di CSI. Tutti erano in grado di identificare quei tre brani, ma invece solo pochi sapevano collocarli storicamente. Naturale: a loro è arrivata tutta insieme sotto forma di “prodotto”, la cui coolness sta nell’essere vintage, cioè appartenere a una qualche epoca passata e quindi automaticamente “mitica” (il marketing non perdona), ripescata, ricontestualizzata (e spesso estrapolata dal contesto originario) nel terzo millennio ad uso e consumo di qualcos’altro, come appunto di CSI.

Gli Who circa all’età dei miei studenti

E’ un lavoro assai complesso, nel senso che si parte dall’inizio del ‘900 e si analizza quello che è successo non solo nella musica, ma nelle varie aree (dal cinema alla grafica, ecc) che compongono la tavolozza creativa di una certa epoca. Il risultato però è sempre piacevole, per mille ragioni. Innanzitutto perché ovviamente stiamo parlando di argomenti che sono prossimi alla loro sensibilità, come il Tatuaggio, la Disco o i disturbi alimentari (che hanno certamente assai a che fare con la cultura Pop), e spesso vedo delle lampadine che si accendono in classe, di gente che ha capito qualcosa – e questo gratifica e fa piacere. Poi perché permette loro di mettere nella giusta prospettiva alcuni fenomeni che oggi hanno una natura diversa. L’esempio giusto è la minigonna, strumento di liberazione per le ragazze degli anni ’60 e oggi armamentario da valletta tv; o i jeans, una volta emblema di uno stile di vita diverso e oggi ridotti a porcherie vintagizzate e smazzate a centinaia di euri da stilisti oscenamente ricchi e drogati. E naturalmente per il migliore dei motivi che esistano per conoscere il passato: capire il presente e provare a immaginare il futuro prossimo, che è un po’ quello che dovrebbero fare gli studenti – o quantomeno provarci.

L’esperienza per me è sempre molto piacevole. Mentre scrivo siamo sotto esami, e in questi giorni ognuno di loro viene e mi racconta un argomento a sua scelta della storia della cultura Pop in senso ampio. C’è molta musica, ma anche molto altro, da Youtube a South Park a Reddit. Loro compito è analizzarne l’aspetto pop, e molto spesso ci azzeccano. Naturalmente esiste una media e poi chi spicca, ma la media è alta (anche per via dell’argomento, naturalmente) e spesso si vola. Senza contare che, siccome mi segnalano musica, video e altro, ogni anno imparo qualcosa – che poi l’anno dopo finisce nel corso. Come dicevo, ho alcune fortune, e questa è sicuramente una.

* Titolo di un bel saggio sulla cultura Pop di Simon Reynolds.

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