Red Ronnie

(Testata: Rumore)

Chi lo conosce dall’inizio (stiamo parlando di vent’anni fa) e ha ancora voglia di difenderlo, dice che all’epoca faceva delle cose interessanti e innovative; possibile. Fattostà che da almeno 15 anni il buon Red ci propone una ricetta implacabile fatta di passato irripetibile, di pantaloni di pelle e buoni sentimenti, di volemose bbene e scurdammuce ‘o passato, simm’e Napule paisa’. In realtà le ricette televisive di Red (Ronnie – perché poi c’è anche Red Canzian, indimenticabile parrucchiere dei Pooh) sono sostanzialmente due:

Filone “immortali e irripetibili anni ’60”. I programmi si intitolano alternativamente “Quei favolosi anni ’60” oppure “Mi ritorni in mente” oppure “Una rotonda sul mare” (dimostrando la vis creativa di un cippo votivo). Di solito li conduce in coppia con qualcuno suo pari, per la Rai o per la Fininvest, indifferentemente. Ingredienti: uno, due, tre o altro numero di leggende canore degli sfavillanti e spensierati anni ’60, all’evidente ricerca di un rilancio (o quantomeno di qualche ingaggio in provincia). Una gara con televoto, per determinare la canzone più bella, la più amata, la più popolare, la più ecologica dei funambolici anni ’60, oppure l’interprete più bello, la trasmissione più riuscita o l’anno più immortale tra i dieci disponibili in quella decade; poi c’è il sottogenere “emblematico”: l’indumento, l’interprete, la canzone, il mezzo di locomozione, il salume più emblematico degli immarcescibili anni ’60. Immancabile filmato d’epoca sul quale Red spesso parla sopra, necessario per far sgorgare la fontana dei ricordi, e se possibile anche una contenuta commozione, sui simpatici, tenerissimi, birbaccioni anni ’60. L’incontro tra due o tre o quattro o anche altri numeri, di stars dei rutilanti anni ’60 i quali, capello grigio e aria sorniona, si felicitano insieme a Red (di essere di nuovo in tv) e, commossi, rispondono alla sua domanda: “Cosa si prova in questi momenti?” Il duetto, o trietto o anche di più, di vecchie glorie dei malcapitati e consunti anni ’60, che cantano tutti insieme una vecchia canzone, con Red in mezzo ai coglioni (spesso proprio a quindici centimetri dal loro naso) che li osserva compiaciuto e canticchia. I cantanti hanno un aria da festa delle medie, e una faccia come a dire che tocca fa’ pe’ campa’. Red invece è raggiante e pago: “canticchio ‘Auschwitz’ con Maurizio dell’Equipe 84”.

Genere Roxy Bar/Help (il primo programma che suggerisce cosa gridare mentre lo si guarda). L’apoteosi di Red (che in realtà si chiama Gabriele Ansaloni – lo dico per tutti i lettori di Rumore che pensino di essere i soli ad avere qualcosa da nascondere). Il luogo dove tutto quello che la sua mente forsennata gli suggerisce diventa impietosamente televisione (e quindi non realtà, come invece pensa lui). Ronnie riserva le sue tele-predicazioni ai canali di Cecchi Gori, che è probabilmente l’unico che gli da quel genere di spazio. Chiunque abbia visto il Roxy Bar almeno una volta conosce gli ingredienti: Uno studione, con consollona o meno. (La consollona di Red – computer, videoregistratori, lettori di cd, etc. è l’equivalente di Emilio Fede che dice al regista cosa fare; con la differenza che qua fa veramente lui, scusandosi in continuazione: “siamo in diretta…”, come se non avesse una regia che farebbe senz’altro meglio). Nello studione ci sono “tanti giovani”, “tanti amici” o anche “un sacco di sorprese” (tipo vescovi, ex tossici di professione ed altri beccamorti del genere). Nello studione coi giovani e gli ex drogati ci sono due palchi dove si esibiscono cantanti e gruppi, facendo esattamente quello che dice Ronnie: ho visto Red ordinare a Jovanotti e 99 Posse insieme – mica ai Luciferme – di suonare la canzone di una signorina africana a loro perfettamente ignota; loro, nel panico, sono partiti con una musica qualsiasi e la povera africana, stonando, si è accodata: un disastro, come gli stessi partecipanti vi confermeranno.

Caratteristica primaria del programma è l’imbarazzo: quello degli ospiti, sottoposti a interviste mortali e indotti a comportamenti spiacevoli (tipo discutere di sesso con dei sacerdoti); l’imbarazzo del pubblico dello studione, passibile in ogni momento di domanda assassina a bruciapelo, tipo: “Ma tu lo usi il preservativo?” (come se la povera vittima potesse mai rispondergli: “Siamo in tv, che cazzo vuoi che ti dica? Peccato che non lo usassero i tuoi genitori. E tu Red, lo usi?”); e anche imbarazzo del pubblico a casa: ogni volta che lo guardo mi immedesimo nell’ospite, nel pubblico, nel fonico (bravo) e soffro orribilmente. Un altro ingrediente fondamentale della miscela Roxy Bar è il naturale, il sano, il biologico, l’ecologico. Tardivamente vegetariano, col tipico khomeinismo dei neo-convertiti si accanisce sui suoi ospiti: “Non mangerai mica la carne?” fa Red a un povero sedicenne del pubblico; “beh, a volte…” balbetta il malcapitato. “Non lo sai”, lo incalza Ronnie, “che un piatto di ceci contiene le stesse proteine? Eh? Non ti fa impressione UCCIDERE UN ANIMALE per nutrirti?” Fai bene a dirglielo, Red. Speriamo che mòderino il loro consumo di carne. A occhio e croce però, direi che non smetteranno certamente per via delle tue minacce.

La sindrome dell’ecologico e del naturale a Red gli è venuta insieme a quella della bontà. Dev’essere stato ai tempi del Live Aid: Red si è convinto che sotto quella patina di cattivone, il rocker è un buono, un eroe positivo. Non gli importa che sia un cocainomane, un assassino o un maniaco sessuale. Red gratta la patina per trovare qualche buon sentimento, almeno un valore positivo. Qualsiasi Marylin Manson verrebbe neutralizzato; nemmeno Charles Manson potrebbe resistergli. Certo che Ligabue sembra buono (da fuori); potresti dire la stessa cosa di Sid Vicious o perfino di Steven Tyler (che qualche anno fa ha dichiarato di essersi sniffato l’intera produzione di coca del Perù)? Il “rocker”, caro Red, deve il suo carisma proprio a questa sua ambiguità, e mentre ti parla dei bambini dell’Africa (che, tra parentesi, spesso gli servono per vendere più dischi), magari guarda con concupiscenza tua figlia (di 10 anni). L’inglese: è certamente encomiabile che Red faccia degli sforzi sovrumani per parlare la lingua di Shakespeare – o anche solo di Raffaella Carrà. E’ anche commovente come, ignorando la comicità spietata del suo parossistico accento anglo-bolognese, si ostini a parlarlo in diretta coi suoi atterriti ospiti. Mi chiedo però perché non lasci tradurre le risposte a qualcuno che le capisce. Red non dice mai: “non ho capito”. Lui integra di suo, “traduce”, improvvisa. Qualche volta ai limiti del falso ideologico.

Vi chiederete: “ma se fa così schifo, com’è che gli artisti poi ci vanno? Non è che tu esageri?” Dato che lo so che a volte esagero, ho girato la domanda chi c’è stato. Quasi nessuno lo difende, anzi: tutti ammettono molto tranquillamente che il programma è “indifendibile” e l’esperienza “agghiacciante”. Ma poi aggiungono: “Però è l’unico programma dove si suona musica dal vivo ed è necessario per la promozione”. E questo per un certo periodo è stato vero. Bisogna dare atto al buon Red di essere stato, per un bel po’, l’unico a proporre la nuova musica italiana dal vivo in televisione. Merito della poderosa lungimiranza del geniale Ronnie (che in una certa misura certamente c’entra)? Oppure dell’imperdonabile leggerezza dei dirigenti delle televisioni che, troppo impegnati a mettere sotto contratto culi e tette, l’unica cosa che sono riusciti ad inventarsi è stata di COMPERARE un format dalla Francia (Taratatà, tanto per fare nomi e farmi qualche nemico in più) in cui proporci Baglioni e Dalla together (siamo solo all’inizio mentre scrivo; magari migliora)?

Ho spesso discusso coi miei colleghi che sono andati al Roxy Bar sull’opportunità di insistere. Alcuni di loro ci hanno personalmente sbattuto la faccia, e non hanno dimenticato l’esperienza. Altri, non paghi della mazzata subita, hanno insistito in questo loro spasmo promozionale. Ad altri ancora è perfino andata bene; non voglio fare polemiche: ognuno si regola come crede, e va rispettato. Voglio invece dar voce ad alcuni degli artisti che ci sono stati. Dice Neffa: “la prima volta mi ha preso un po’ alla sprovvista, mettendomi “contro” Monsignor Tonini (una belva assatanata, ndr), e io non conoscevo ancora bene il mezzo televisivo. Direi che è stato un pareggio”. E su Red cosa mi dici? “E’ auspicabile che un sano entusiasmo ed una spinta all’amore interiore si sprigionino dal video verso il prossimo; trovo invece preoccupante che qualcuno possa ergersi a paladino morale in un mondo amorale come quello della tv”.

Dice Bunna degli Africa Unite: “Quando ci siamo andati, ha aperto un dibattito sulle droghe, coinvolgendo anche il Sud Sound System e il figlio di Muccioli. E’ certamente uno che sa fare bene il suo gioco. Tra l’altro noi non l’abbiamo incontrato che quando è iniziato il programma, e appena è finito lui è scomparso.” E’ meno diplomatico Madaski: “Non mi pare il caso di perdere tempo parlando di Red Ronnie. E’ scorretto, e pensa solo alla sua trasmissione. Non ha alcun interesse a discutere o capire: vuole soltanto propagandare le sue idee.” Dice Alioscia dei Casino Royale: “Personalmente non vorrei andarci mai più. L’unica maniera per delegittimarlo è starsene a casa”. E del personaggio cosa pensi? “E’ bravissimo a fare televisione, ma col suo minestrone, che va dal piercing a Candy Candy, penso che faccia più male che bene alla scena musicale italiana.”

Qualche anno fa ho scritto una canzone su Red (ed è il motivo per cui Rumore mi ha chiesto di scrivere questo articolo); si intitola “Ansaloni” e ne racconta la vera storia. Questa mia mossa mi ha messo in contatto con una realtà che non conoscevo: quelli che detestano Red Ronnie. Un giornalista, non appena ha scoperto il brano, ha chiamato Red (che non l’aveva ancora sentito) e gli ha letto il testo per telefono, per poterne registrare le reazioni a caldo (Ronnie s’è incazzato come una bertuccia). Poi ha intitolato l’articolo “Attento Red Ronnie, il tuo rock è falso” è l’ha corredato di foto e intervistina ad Ansaloni (“non accettano che il mio show dia la felicità”). Un discografico milanese all’ascolto del brano ha gridato: “Bellissimo! Bisognerebbe fotocopiarlo e spedirlo a tutto l’ambiente musicale!!” (ma poi ha continuato a spedire i suoi artisti al Roxy Bar). E potrei continuare.

Insomma: a parlar male di Red ci si fa un sacco di amici (ma questo succede spesso coi potenti, e Ronnie a suo modo lo è); chi lo guarda dice che lo tollera solo perché non c’è altro (ma adesso invece ci sono dei buoni programmi musicali senza preti, muccioli, germogli di soia e bontà pelosa); chi ci va si ritrova in situazioni orribili, che potrebbero anche compromettergli la carriera (a meno che uno non sia già Nek) – insomma un macello. A cui però quasi nessuno si sottrae. Come mai? Quale arcano potere li controlla? Non lo vedono com’è? E cosa spinge le case discografiche a mandare i propri artisti al macello? Ne vale la pena, solo per un passaggio televisivo in più?

The Red Story

Nota molto bene: questa storia è un esercizio letterario satirico, basato però su fatti realmente accaduti e documentabili. Non vuole essere in nessun modo una scheda biografica realistica o una storia esauriente della vita di Gabriele “Red Ronnie” Ansaloni; la vera storia di Red, dettagliata fino allo spasimo (ma priva degli aneddoti da me riportati), potete trovarla qui.

Red nasce in Emilia; dopo un’infanzia e un’adolescenza, prende il nome da Ronnie Peterson (corridore di formula 1) e si fa notare in un’emittente di estrema sinistra trasmettendo buona musica punk. Siamo nel gli anni ’70, e Red fa questo come hobby. Poco dopo inizia a scrivere su dei giornali – alcuni chiamati come lui – e smette l’altro lavoro per dedicarsi interamente alla sua vocazione: la musica. Negli anni ’80 inventa i suoi unici due programmi televisivi e poi, dimostrando grande continuità, si candida al parlamento nelle file del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi e Sandra Milo, con lo pseudonimo di Gabriele Ansaloni.

Platealmente trombato alle elezioni, si consola con l’acquisto, per l’equivalente di 400 milioni di lire italiane, di una chitarra appartenuta a Jimi Hendrix, che purtroppo però Red non sa suonare; poco tempo dopo infatti, appare come testimonial in uno spot di un corso di chitarra dicendo: “Ah, come mi piacerebbe saperla suonare”.

Si è più volte dichiarato un grande fan di Vincenzo Muccioli e dei suoi metodi. Tra chi lo conosce c’è chi lo giudica “enormemente pieno di se”*, “più falso di uno skhgjyz di plastica di carnevale”*, “un gran figo”*, “un agente del vaticano”*. Da qualche anno è permanentemente in onda sulle reti Cecchi Gori unificate.

*) famosi musicisti italiani, suoi ospiti abituali, che hanno chiesto di rimanere anonimi.

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