One for the table, two for the chair

stampa in 3D, clicca per ingrandire

La tecnologia sta rivoluzionando le nostre vite: ecco una frase nel tempo diventata banale e ovvia, specie se riferita a Facebook. Ci sono altri sviluppi meno ovvi che però incidono sempre più profondamente sul nostro operare quotidiano. La fotografia digitale è un buon esempio: non solo scattare, manipolare e condividere sono diventate azioni quotidiane, ma la funzione stessa della fotografia è cambiata: da memoria a pro-memoria, da souvenir a diario per immagini, da attività iniziatica (com’era prima dell’avvento delle istantanee) a sport di massa. Naturalmente c’era un’obiezione di fondo – tutto sommato comprensibile: “Per fare delle belle foto bisogna conoscere il comportamento della luce, scegliere l’ottica adatta, la pellicola giusta; inquadrare è un’arte, e così la stampa. Con l’accesso di massa alla fotografia, la qualità è destinata a peggiorare immensamente.” Da un certo punto di vista questa obiezione era fondata. Però poi invece è stata la fotografia stessa a mutare: il suo uso, le sue funzioni e il modo in cui ne fruiamo. Oggi, per trovare una bella foto, non bisogna necessariamente cercarla tra quelle dei professionisti; anzi, in certi casi una foto meno “colta” può risultare più efficace – anche perché oggi guardiamo in modo diverso, e ci aspettiamo altro da una foto.

Un altro eccellente esempio è stata la musica, prima con l’avvento del Rock’n’roll e poi con gli strumenti digitali: “Per fare buona musica bisogna conoscere l’armonia, il contrappunto e l’arte della fuga. Con l’accesso universale alla creazione musicale, la qualità è destinata a peggiorare immensamente.” Questo sarebbe stato vero se Chuck Berry o i Beatles si fossero cimentati con la forma sinfonia. Invece hanno prodotto musica radicalmente diversa (sia esteticamente che funzionalmente), e “nativa” dei nuovi strumenti che utilizzavano, la chitarra elettrica, ecc. Oggi sappiamo che non si può suonare una sinfonia col distorsore (o meglio si può, ma è orribile), esattamente come non è il caso di eseguire Hound Dog con l’orchestra barocca. Questo stesso effetto è accaduto in molti campi: foto, musica, scrittura, cinema, ecc.

Un recente sviluppo della tecnologia sta facendo succedere qualcosa di assai simile in un settore radicalmente diverso: la produzione di oggetti. Grazie all’invenzione delle stampanti in 3D, capaci di “stampare” oggetti (o parti) in una varietà di materiali (plastiche, legno, metalli), sta diventando possibile (e economicamente fattibile) produrre singoli pezzi. Di cosa? Di moltissime cose: tutto quello che vi viene in mente che si può realizzare con questi materiali. Quindi è probabile che, in un futuro assai prossimo, invece di comprare una sedia di plastica prodotta in Polonia e arrivata in camion a Pizzo Calabro, potremo comprarne il file e farcela stampare in copisteria – eventualmente personalizzata. Idem per qualsiasi mobile, utensile e in fondo qualsiasi oggetto (incluse, per esempio, le abitazioni). Naturalmente l’obiezione iniziale, sempre meno legittima alla luce di quello che sappiamo oggi, è sempre lei: “Con l’accesso universale alla produzione di oggetti, la qualità è destinata a peggiorare immensamente.” Invece è possibile che ci troviamo di fronte a una rivoluzione come quella del R’n’r ma applicata al design – che, mi pare, ne ha tanto bisogno quanto ne aveva la sinfonia quando è arrivato Little Richard. Ecco: che il prossimo Chuck Berry crei delle sedie mi pare una notizia davvero eccellente.

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