L’arte della Radio

E’ una delle forme artistiche più elusive, ma anche assai ricercata nell’epoca della laptop music e della nuova electronica. A spiegarla è perfino ovvia, ma poi fare degli esempi è assai complicato. Oggi, che in teoria se ne potrebbe produrre a bizzeffe, in realtà quasi non si fa più. Non ce n’è: la radioarte resta un oggetto misterioso.

La spiegazione più semplice di radioarte, o arte radiofonica, richiede un paragone: “Hai presente la videoarte, o la net art? Ecco: la radioarte è arte che va per radio.” Naturalmente le cose sono immensamente più complesse, e sulla definizione di radioarte si sono organizzati convegni e scritti libri (tra cui il recente “Re-inventing Radio: Aspects of radio as art”, Ed. Revolver, in inglese, che contiene anche un intervento del sottoscritto). La radioarte nasce con le avanguardie storiche, tra le quali spicca il Futurismo che considerava la radio, elettrica e simultanea, il vero medium della modernità. Nel corso degli anni ci sono stati molti approcci diversi alla radioarte, secondo me tutti interessanti. Innanzitutto quello di derivazione teatrale, assai popolare in Germania con la tradizione dell’Hörspiel, il radiodramma, che attraverso la manipolazione e il montaggio poteva diventare una vera e propria opera di suoni e voci. Poi naturalmente quella legata ai nuovi strumenti elettronici, negli anni ’50 e ’60: gran parte di quella musica è stata composta in studi radiofonici, da Stockhausen alla WDR di Colonia fino a Bruno Maderna nello studio di fonologia della RAI di Milano.

Negli anni successivi la radioarte è rimasta in contatto con le avanguardie, diventando luogo di sperimentazione e creazione per teatranti, musicisti, fonici, ma anche artisti visuali, informatici, ecc. Grande fucina di idee, resa possibile dal fatto che molti di questi lavori venivano trasmessi (e pagati) dalle radio nazionali – inclusa la RAI, che fino al ’98 (tra mille difficoltà) con AudioBox ha continuato a produrre ottima radiofonia. Con la progressiva commercializzazione dei canali pubblici, un fenomeno purtroppo globale, questi spazi si sono ridotti. Poi è arrivata la rete, la moltiplicazione infinita delle antenne e quindi delle possibilità: oggi, con un qualsiasi PC, non solo si può produrre e diffondere musica, ma anche dell’ottima radioarte.

Però, a differenza della musica, la radioarte è elusiva, difficile da definire. Ci ha provato Robert Adrian X, artista austro-canadese e complice di Kunstradio, uno degli spazi radiofonici più interessanti del pianeta (kunstradio.at).  Ecco il suo testo Verso una definizione di radioarte, in 12 semplici punti:

1. La radioarte è l’uso della radio come medium per l’arte.

2. La radio accade nel posto in cui si ascolta e non nello studio dove si produce.

3. La qualità del suono è seconda all’originalità concettuale.

4. La radio è quasi sempre ascoltata in combinazione con altri suoni – domestici, il traffico, la tv, il telefono, bambini che giocano, ecc.

5. La radioarte non è sound art – e neanche musica. La radioarte è radio.

6. La sound art e la musica non sono radioarte solo perché vengono trasmesse per radio.

7. Lo spazio radiofonico è tutti i luoghi dove si ascolta la radio.

8. La radioarte è composta di oggetti sonori che si esprimono nello spazio radiofonico.

9. La radio di ogni ascoltatore determina la qualità sonora di un’opera radiofonica.

10. Ogni ascoltatore sente la propria versione finale di un’opera radiofonica, combinata coi suoni ambientali del suo spazio.

11. L’artista radiofonico sa che non ha modo di controllare l’esperienza di un’opera radiofonica

12. La radioarte non è una combinazione e di radio e arte. La radioarte è radio fatta da artisti.

Tentar non nuoce: in fondo basta solo un PC.

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