Click, clock, clack

La musica, in ogni sua forma, è un fatto sostanzialmente umano; si tratta di una o più persone che emettono suoni (che gli sembrano) armoniosi, che generano una emozione, in loro e poi magari anche in altri. Già i greci antichi avevano scoperto la relazione matematica tra le note e le scale, e avevano classificato le melodie a seconda della distanza tra le varie note di una scala. Eh sì, perché non esiste musica di una nota sola (a parte la famosa samba, e certa musica religiosa), e non appena si suonano due note, successive o sovrapposte, entriamo nel campo della fisica: se le frequenze di vibrazione di queste note sono in armonia tra loro, il risultato ci sembrerà piacevole. Naturalmente, in tradizioni musicali diverse, anche queste relazioni saranno diversamente apprezzate: certa musica tradizionale cinese che a noi sembra “scordata”, in realtà corrisponde semplicemente a un sentire diverso dal nostro. Non solo: in Europa, nel ‘600, è stato introdotto il “Temperamento equabile”, e cioè una approssimazione della scala naturale, quella basata sulla fisica (per semplificare: un pianoforte basato sulla scala naturale avrebbe 24 tasti in un’ottava, anziché 12). Basta ascoltare della musica non occidentale (quella cinese, una qualsiasi delle molte africane o giapponesi) per notare delle piccole discrepanze: il nostro orecchio è talmente abituato al Temperamento che ogni altro intervallo ci pare sbagliato. Ma non è così, e spesso apprezziamo dei cantanti (il cui strumento non è temperato) proprio per la loro abilità di ignorarlo (a tratti).

Intorno al 1980, con la popolarizzazione del sistema MIDI, viene introdotta un’altra importante novità: il Clock. In origine (cioè prima dell’80) era la sezione ritmica (batteria e basso innanzitutto) a dare il tempo a una band, che gli andava dietro. Ovviamente pochissimi batteristi sono in grado di mantenere esattamente gli stessi battiti al minuto per tutto un brano; si rallenta, si accelera. Non solo, ma se una canzone è ben eseguita, è naturale che in certe parti i BPM cambino lievemente: il ritornello deve spingere un po’ di più, mentre magari la strofa è più seduta. Nella musica classica questo elemento è fondamentale: la differenza tra un direttore e l’altro sta molto anche in come manipola questo aspetto della musica, rallentando o accelerando dove gli pare bello. Dal 1980 però, in quasi tutta la Popular Music è stato introdotto il Clock: se lavori col computer è il Clock del software, se hai una band, spessissimo si registra con un click in cuffia, per mantenere costanti i BPM (e eventualmente poi sincronizzare, e magari aggiustare, col computer). Il risultato è un ritmo claustrofobicamente costante.

Sia il Temperamento equabile che il Clock sono approssimazioni. Molto utili, per certi versi: lo strumento fondamentale della tradizione classica ottocentesca, il Pianoforte, esiste nella sua forma attuale esclusivamente grazie al Temperamento. Non così il violino, o il basso fretless, strumenti non temperati in grado di produrre scale naturali. Vorrei anche aggiungere che, manipolandoli un pochino, anche tutti gli strumenti virtuali presenti nei software musicali potrebbero farlo. Purtroppo però in pochi ci provano.

Diverso è il discorso sul Clock, che pure è utilissimo per sincronizzare elementi diversi, ma che ha avuto un effetto nefasto su due fronti. Molta della musica che si ascolta in giro è “quantizzata”, cioè resa mostruosamente regolare dal PC (mentre perfino la Techno si avvantaggia di parti lievemente sfasate rispetto alla cassa dritta) e il suo inesorabile Clock. Non solo, ma il 99% delle canzoni che sento, quelle tradizionali strofa e ritornello, sono completamente prive di qualsiasi dinamica ritmica nella struttura: il ritornello suona esattamente come la strofa (con qualche suonino in più), e il tutto va precisamente alla stessa velocità. Che non mi da fastidio in un brano di Method Man, ma me ne da moltissimo in una canzone di Ed Sheeran, per dire.

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