Campo contro Zappa

No, non si tratta di un Mini di argomento agricolo; è invece, ahinoi, un articolo che parla di questo giornale. Vi prego di notare che 1) io e Albero Campo ci conosciamo e ci vogliamo bene, che 2) non ho alcun sospeso con lui ma che 3) credo non mi saluterà più dopo quest’articolo. E non sarà il solo; che volete farci? Ho sempre avuto la lingua lunga e un sacco di opinioni…

Compro Rumore di gennaio e leggo in copertina che in questo numero si demoliscono miti (“la corazzata Potiomkin: 13 mostri dissacrati”). “Ma vai!”, penso; “Finalmente un po’ di sana cattiveria”. E l’articolo non delude affatto: si maltrattano con coraggio Brian Eno, Henry Rollins, i CSI, Nick Cave, i Doors, etc. Tutti musicisti amatissimi dai lettori di Rumore. E questo ha molto senso: cosa significherebbe dissacrare, che ne so, Albano o Fiorello? Era opportuno prendersela coi gruppi da voi preferiti. Purtroppo non tutti l’hanno pensata così.

Scrive Campo: “Mi dicono: ‘Prendi un mostro sacro, intoccabile e demoliscilo.’ “. Eccolo che pensa: dissacrerò Bill Laswell? I Rage Against The Machine? I N.I.N.? Macché: “Non ci metto molto a scegliere la vittima. Nessun ripensamento: Frank Zappa”.

E’ forse la prima volta che leggo il nome di Zappa su Rumore. Non pretendo che se ne parli e non mi sognerei di entrare nelle scelte editoriali del giornale; ma se l’unica volta che succede avviene in maniera così sciatta, allora non posso non intervenire.

Campo detesta Zappa (purtroppo non potremo mai sapere se è vero anche il contrario, perchè Frank Zappa è morto), e nel suo articolo ci spiega perchè: “Offriva… la sensazione di stare dentro il rock, ed essere perciò ‘giovani’, ‘aggiornati’ e ‘fighi’, senza tuttavia sporcarsi le mani”. Probabilmente a Campo sfugge il fatto che la musica di Zappa è rimasta pressocché inalterata in quasi quarant’anni di carriera, che Zappa – come Charles Ives e Spike Jones – usava i generi musicali (il doo wop, il rhythm’n’blues, il barocco ed anche il rock) sovrapponendoli e mescolandoli senza riguardo per nessuno (ne’ per Stravinski ne’ per Chuck Berry) e che la sua musica sfugge a qualsiasi catalogazione (figuarsi una categoria così ampia come “rock”). Prosegue Campo: “Il trucco stava nell’ironia, si dice. Che però a me pareva più che altro sarcasmo a buon mercato… però il rock non si può prendere alla leggera… Pessimo affare l’ironia in casi simili.”

Ora, da uno che ha scritto un libro sui CSI non mi aspetto che abbia il senso dell’umorismo: avrà una sensibilità tardo-adolescenziale e una pazienza infinita. Ma che l’ironia nella musica sia per lui un pessimo affare getta una luce sinistra sulla sua visione del mondo, oltre a proporci un immagine di Campo che al confronto Marylin Manson è Mr. Bean.

“Anarchico?” Prosegue Campo, “Buon affarista ed efficiente amministratore di se stesso, caso mai.” E allora? E’ bene che i lettori sappiano che Zappa ha fatto causa a Cbs e Warner bros (vincendole entrambe) vent’anni prima che qualcuno inventasse la parola “autoproduzione”; che rappresenta un esempio insuperato di gestione intelligente del proprio talento; che è l’unico artista di cui io sappia che possiede interamente il proprio repertorio, sia editoriale che discografico, e che rappresenta un esempio per tutti quelli come me che cercano di difendersi dalle majors e fare la musica che amano.

Uno che ha messo sullo stesso disco una cover di “Stairway to heaven” dei Led Zeppelin e una del “Bolero” di Ravel (assolutamente geniale, perfettamente reggae e buffissima) si merita più di uno stizzito Campo che sibila : “…la musica parla da sola: tra stupid songs e progetti ciclopici… nulla che mi piaccia o che mi senta di dover consigliare propedeuticamente ai neofiti”. Ecco il punto: non gli piace e questo gli basta: cazzo, Alberto, perchè mi obblighi a scrivere questo?

Ma basta con Campo. Voglio invece suggerirvi l’ascolto di “Freak Out!” (1965), “Hot Rats” (1970), “Does humour belong to music?” (1988; compito per Alberto: scrivere 1000 volte questa frase seguita dalla parola Yes) e il primo volume dell’antologia live “You can’t do that on stage anymore” (anche grazie ad una stampa così). Musica eccellente, ben eseguita e stimolante, (ma inadatta per ascolti in stanzetta a luci basse e occhi chiusi, che evidentemente qualcuno cerca ancora) che propedeuticamente consiglio a quanti volessero verificare quanto poco sia affidabile, a volte, la stampa musicale italiana.

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