Fango, birra, panna, tiramisù

(Testata: Sni;z)

Nel corso delle mie osservazioni sulle molte e curiose forme di espressione sessuale in rete (a volte, come in questo caso, condotte per pura “antropologia da salotto”), mi sono imbattuto in un sito che proponeva immagini di lotta libera femminile “in umido”. Incuriosito, ho approfondito l’argomento, entrando in un universo a me parzialmente ignoto e che invece ho scoperto ricco di spunti di riflessione; volendo di ogni serie di foto era disponibile in vendita la videocassetta (che però non ho acquistato).

Siamo ovviamente nell’universo della pornografia: cartelli di attenzione, di vietato ai minori, etc. Ma a parte la collocazione, nel sito non c’era nulla di veramente sessuale o di porno. Solo fotografie di donne, perlopiù vestite, immerse in materiali vari ed impegnate in incontri di lotta.

Lista dei materiali in cui si svolgono incontri di lotta libera femminile: fango, birra, panna, crauti, vino, schiuma da barba, macedonia, cioccolata, sciroppi vari, polenta, torte varie, spaghetti (in scatola), minestrone, crema, acqua e sapone, gelatina di frutta, oli vari.

Da quello che ho letto pare che questa pratica – perfettamente legale – sia diffusa in Nord-Europa (in particolare in Germania) e negli Stati Uniti d’America. Gli incontri si svolgono in grandi pubs all’aperto, dotati di apposito ring a tenuta stagna circondato da un pubblico folto, festante e alticcio composto prevalentemente da uomini maturi, ma non solo: tra il pubblico ho visto anche diverse signore. Data la natura dell’evento, è ovvio che le prime file vengano di tanto in tanto colpite da schizzi, sempre però accolti con grande umorismo e senso di partecipazione.

fngLe ragazze sono in topless oppure vestite; non sono particolarmente belle o attraenti, né fanno nulla per esserlo. Sono senza trucco, hanno i capelli legati, indossano slip alti e pratici; hanno polpacci robusti, seni comuni e mani efficienti: sono donne che lavorano. Appaiono use a sguazzare nel materiale prescelto, e si battono aspramente ma lealmente. Lo scopo parrebbe quello di infilare una volta la testa dell’avversaria “sott’acqua”. Non c’è niente di erotico o di allusivo nella loro lotta, nemmeno implicito o accennato. Le ragazze si rotolano, si abbrancano e per la maggior parte del tempo i loro dettagli anatomici “sensibili” sono nascosti. Alla vittoria di una delle due escono dalla vasca, si salutano (spesso abbracciandosi, ma sempre castamente), salutano il pubblico e se ne vanno.

Non è dato di sapere se siano effettivamente felici di trovarsi lì in quel momento o se lo facciano esclusivamente per il compenso. Certamente si battono con fervore e professionalità, sfoggiando in molti casi una certa tecnica. Non solo: la frenesia provocata dal rotolarsi seminudi in qualcosa di umido, fenomeno osservato in profondità durante le recenti edizioni del festival di Woodstock, è certamente presente, e traspare dall’entusiasmo con cui queste signore si crogiolano – ben aldilà delle esigenze di lotta.

Questo genere di lotta libera femminile non ha nulla di effettivamente aggressivo, neppure di quell’aggressività che gli sportivi definiscono ipocritamente agonismo. Le due contendenti certamente lottano e si battono, ma sono ben coscienti di essere ambedue parti essenziali di un rituale che non ha nulla di effettivamente competitivo, e che non ha a che vedere con concetti quali la vittoria o la sconfitta; in questo senso è paragonabile al wrestling (di cui esiste anche una versione femminile), con in più il fatto che trovarsi insieme immersi nei crauti in mutande sia un esperienza che, immagino, crea un certo legame tra le persone.

Ho letto che parte del senso di questa pratica consiste nel guardare donne che fanno mostra di poco pudore nello sporcarsi e rotolarsi, in contrasto con l’immagine femminile tradizionale, pulita e linda; aldilà del fatto, non trascurabile, che io non ho quest’immagine delle donne, mi colpisce il fatto che, insieme a quel luogo comune ne vengono apparentemente ribaltati molti altri: vedo donne forti (per niente fragili), decisioniste, indipendenti e per nulla impegnate (apparentemente) a piacere agli uomini.

Ma il senso ultimo di questo genere di lotta libera femminile mi sfugge completamente. Non capisco come sia potuto venire in mente al primo di farla, non mi spiego come qualcun altro possa dire: “Lo sapete? Stasera finalmente fanno la lotta libera nel Budino di Ribes. Erano anni che l’aspettavo”. Non lo capisco, però non lo biasimo, se tutti i partecipanti sono adulti e consenzienti.

Mi stupisce che per qualcuno possa essere gratificante o perfino gradevole guardare qualcun’altro che si rotola nella polenta, ma poi penso a “Giochi senza Frontiere” e non mi pare molto diverso; mi colpisce che delle signore si possano prestare a questo solo per soldi, ma so benissimo che nella mia città c’è chi si presta a pratiche ben più degradanti anche senza l’impiego di spaghetti in scatola (come per esempio fare da zerbino al capufficio). Personalmente la trovo una pratica piuttosto bizzarra e distante dalla mia sensibilità, ma poi vedo in cosa consiste l’animazione offerta da certi villaggi turistici e allora penso: “Forse, dopotutto, la lotta libera femminile nella parmigiana di melanzane non è il peggiore dei destini possibili”.

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