Ho appena aggiornato questo blog, inserendo una pagina privacy, linkata sotto il nome. Si tratta di diciture standard, semplici e leggibili, che informano il visitatore sul modo nel quale vengono trattati i suoi dati. Ne trovate di simili ovunque: da due giorni a questa parte è entrato in vigore in Europa il Regolamento generale sulla protezione dei dati (General Data Protection Regulation, o GDPR) che le rende obbligatorie. Molto bene: mentre io ovviamente non trattengo, elaboro o rivendo i vostri dati, un sacco di gente lo fa, e da adesso in poi o lo dichiara o sta commettendo un illecito.
La lettura di queste diciture è un’esperienza interessante. E’ oramai da oltre vent’anni che la Rete, una volta nerdomanticamente misteriosa, diventa ogni giorno più accessibile: gran parte del traffico oramai è su Internet, ma non sul World Wide Web: app, servizi digitali, Netflix, ecc. Ovviamente negli anni la consapevolezza degli utenti, che all’inizio era altissima, si è andata affievolendo. Col risultato che oggi, per legge, devo spiegargli che se mette un commento sul mio blog, questo commento rimarrà sul blog a tempo indeterminato. Che se mi manda un messaggio, mi sta anche mandando il suo indirizzo email. Che se carica delle immagini come commento, dovrebbe assicurarsi di aver eliminato i dati Exif/GPS. Sì, la grande maggioranza delle immagini che vedo in giro sui social media contengono ancora tutte le informazioni: data, ora e coordinate del luogo di scatto. Una volta che l’operazione “riconoscimento facciale” andrà in porto (ci stanno lavorando tutti: Google, Facebook, Apple, etc), ci saranno anche i nomi (un buon motivo per disattivare quella opzione, per esempio su Facebook).
Tutte cose che dieci anni fa sarebbero state date per scontate, ovvie, auto-evidenti (dall’inglese self evident). Ma che oggi invece bisogna spiegare.